
In italia, secondo i dati Istat di giugno 2015, 6 milioni 788 mila donne hanno subito una violenza. Il 12% non ha avuto la forza di denunciare. Nella scuola di specializzazione in criminologia e criminalistica che sto frequentando a Firenze, affrontiamo tantissimi argomenti, ma una mattina di qualche mese fa, abbiamo approfondito un tema, che stime Istat alla mano, mi sento di dover condividere con voi. Si tratta, di un tipo di violenza di cui mai avevo sentito parlare prima di quel momento. Una violenza che non comporta necessariamente segni sulla pelle. Si può star male anche senza subire dolore fisico. Mi riferisco alla violenza psicologica, quella più subdola, più difficile da capire e da dimostrare.
Tutto questo ha un nome, si chiama Gaslighting. Il termine deriva da un’opera teatrale del 1938 Gas Light, e dagli adattamenti cinematografici del 1940 e 1944. La trama tratta di un marito che cerca di portare la moglie alla pazzia manipolando piccoli elementi dell’ambiente, e insistendo che la moglie si sbaglia o si ricorda male quando nota questi cambiamenti . Il titolo origina dal subdolo affievolimento delle luci a gas da parte del marito, cosa che la moglie nota ma che il marito insiste essere solo frutto dell’immaginazione di lei. Da qui il termine Gaslighting, è utilizzato per definire un crudele comportamento manipolatorio messo in atto da una persona per far sì che l’altra dubiti di se stessa e dei suoi giudizi fino a sentirsi confusa o sbagliata.
E’ una violenza persistente, somministrata a piccole dosi quotidiane, ed ha la capacità di annullare l’autonomia ed il giudizio valutativo della persona che ne è bersaglio. Le ricerche ci dimostrano come le vittime ed il gaslighter siano quasi sempre partner o parenti stretti. Molto spesso il manipolatore si autoproclama difensore della vittima, quando in realtà sta solo cercando di sottometterla. Il suo bersaglio è solitamente una persona fragile, che non si fida del proprio giudizio, idealizza il manipolatore e assume la sua percezione della realtà.
Il comportamento di gaslighting attraversa tre fasi fondamentali:
INCREDULITA’: la vittima non crede a quello che sta accadendo né a ciò che vorrebbe farle credere il suo “carnefice”.
DIFESA: la vittima inizia a difendersi con rabbia e a sostenere la sua posizione di persona sana e ben piantata nella realtà oggettiva.
DEPRESSIONE: la vittima si convince che il manipolatore ha ragione, getta le armi, si rassegna, diventa insicura ed estremamente vulnerabile e dipendente. Lo scopo di questo comportamento è ridurre la persona ad un totale livello di dipendenza fisica e psicologica annullando la sua capacità di scelta e di responsabilità. Proprio per quanto detto fino ad ora, è difficile che la vittima del gaslighter si renda conto della situazione perversa in cui vive e chieda aiuto, anche perché diventa così dipendente da isolarsi anche a livello sociale per la paura di essere inadeguata o giudicata pazza.
Spesso la richiesta di aiuto o la capacità di farle aprire gli occhi deriva da chi le sta attorno. Ed è allora che può, e deve iniziare il percorso di ricostruzione della propria identità, della fiducia e del senso di sé che porti la donna a liberarsi da una relazione perversa e dolorosa. Ricordiamo che il gaslighting, potrebbe rientrare nella nozione di atti persecutori così come definiti dall'art. 612 c.p. , anche se sarà necessario valutare caso per caso l’attitudine qualitativa e quantitativa dei singoli atti lesivi ad integrare il concetto di molestia. Nel senso che, ad esempio in un piano criminale attuato mediante atti reiterati tesi a minare la salute psicologica della vittima, il semplice gesto di spostare un vaso, che considerato singolarmente appare del tutto inoffensivo, è in grado di diventare, valutato in una visione d’insieme, l’atto finale di una serie di gravi molestie, diventando esso stesso molestia, causando gravi conseguenze dannose per la salute psicofisica della vittima.
Giulia Meozzi