Il 16 ottobre 1885 nasceva Dorando Pietri, il maratoneta meno vincente e più famoso della storia
Dorando Pietri, che nacque 130 anni fa in una frazione di Correggio, è stato il primo atleta di autentico rilievo internazionale. Come noto, divenne famoso per la sconfitta subita alla maratona olimpica del 1908.
Quando le Olimpiadi moderne si tennero per la prima volta, nel 1896 ad Atene, la maratona fu subito considerata la gara più prestigiosa: ispirata all’impresa del soldato Filippide, che, appesantito dall’armatura, corse la distanza dall’omonima città ad Atene per annunciare la vittoria sui persiani, la gara di resistenza affascinò da subito Pierre De Coubertin per il legame con l’antichità classica e con i valori dell’eroismo, del nobile gesto atletico, della cavalleria sportiva.
La tradizionale distanza dei 42 km e 195 metri fu però standardizzata solo nel 1921. Prima di allora, la maratona si disputava su una lunghezza intorno ai 40 chilometri, in un periodo nel quale l’accuratezza delle misurazioni e il rigore del controllo arbitrale erano ben lungi dall’assicurare la completa regolarità delle competizioni, specialmente di quelle sulle lunghe distanze, più difficili da sorvegliare senza i sistemi di comunicazione e di trasporto che sarebbero entrati in uso solo con la modernità. Tanto per dare un’idea, proprio ai Giochi greci, Spyridon Belokas fu squalificato dopo che si scoprì che aveva gareggiato in carrozza, mentre quattro anni dopo a Parigi le segnalazioni erano così misere che molti atleti furono visti vagare senza meta nel centro della città. A St. Louis, nel 1904, Frederick Lorz fu acclamato come vincitore dall’intero stadio e da Alice Roosevelt, figlia del presidente Theodore, prima di ammettere di esser stato trasportato per oltre venti chilometri nell’auto del suo allenatore. Nella stessa gara, il sudafricano Len Tau chiuse al nono posto, malgrado (o grazie?) un cane ferocissimo lo avesse inseguito per quasi due chilometri!
Il dramma e l'emozione raggiunsero il loro apice alla maratona londinese del 24 luglio 1908. L’attesa per la corsa era spasmodica e oltre 100.000 persone assieparono lo stadio di White City solo per seguire le ultime centinaia di metri. Fra gli spettatori, figuravano anche Sir Arthur Conan Doyle, inviato per conto del Daily Mail, e la Regina Alessandra, la quale chiese, e ottenne, che la partenza fosse spostata dentro il Castello di Windsor, affinché i suoi figli potessero assistervi. La modifica aggiunse al percorso quasi 350 metri, che si sarebbero rivelati decisivi. I partecipanti sciamarono per la città, in mezzo a festoni e decorazioni floreali con cui gli abitanti avevano addobbato le vie rispondendo a una precisa preghiera degli organizzatori, mentre il nutrito pubblico dello stadio fu intrattenuto dalle batterie dei 110 ostacoli, dalla lotta libera e dalle gare di nuoto, visto che la piscina si trovava all’interno dell’arena.
Un razzo fu infine sparato per segnalare che il concorrente al comando stava per entrare sulla pista. Non si trattava però del sudafricano Charles Hefferon che aveva superato gli inglesi Jack Price e Thomas Jack, eliminati dal ritmo indiavolato che si erano imposti, ma di Dorando Pietri, che aveva corso al risparmio la prima parte nell’insolita calura che attanagliava la capitale e aveva sferrato l’attacco decisivo negli ultimi chilometri. Pietri lavorava come garzone di pasticceria. Era un uomo minuto, che non arrivava al metro e sessanta, diverso dall’adone aitante e muscolato tramandato dalle raffigurazioni delle Olimpiadi antiche. Era ben deciso a vincere la gara e aveva distanziato di svariati minuti l’americano Johnny Hayes. Tuttavia, all’ingresso dello stadio, era quasi completamente disidratato e privo di forze. Crollò quasi subito al suolo e quando si rimise in piedi era così disorientato che prese a correre nel senso sbagliato. Riportato nella giusta direzione, cadde ancora e ancora, fino a che mosse a compassione il dottor Michael Burger e il giudice di pista Jack Andrew, che lo sorressero fin oltre il filo di lana, demolendo così le sue possibilità di successo. Quasi cinquant’anni dopo, la figlia di Andrew così riferì la giustificazione del padre: «Da prima, di fronte al barcollante Pietri, mi preoccupai di tenere a distanza chi lo voleva aiutare, poi il dottor Bulger andò in suo aiuto e mi intimò di stare ai suoi ordini: ogni volta che Pietri collassava, io dovevo tenere le sue gambe mentre Bulger gli praticava il massaggio cardiaco».
Nei dieci minuti che occorsero all’italiano per completare un solo giro di pista, l’americano Hayes recuperò lo svantaggio e presentò ricorso non appena tagliato il traguardo. Anche Hayes pare fosse stato indebitamente aiutato e un altro ricorso fu avanzato da Hefferon, che tuttavia lo ritirò subito. Pietri fu squalificato e l’oro andò all’atleta statunitense.
L’opinione pubblica inglese fu così scossa dalla vicenda che una colletta proposta da Doyle per finanziare l’apertura di una panetteria da parte di Pietri raccolse ben 300 sterline. Persino la Regina Alessandra volle premiare il valoroso podista, cui offrì una coppa d’argento. Pietri non comprese le parole della sovrana, ma si rese conto che la sua vita stava per cambiare, come avrebbe dichiarato anni dopo allo Sport Illustrato: «Sebbene abbia perso la maratona, ho vinto in popolarità. La mia vita è così felice che il dramma di Londra mi pare l’intervento della Provvidenza». Infatti, appena due mesi dopo, si imbarcò da Southampton per New York, dove era atteso da un lauto ingaggio e dalla rivincita con Hayes, che si sarebbe tenuta sulla pista del Madison Square Garden, da percorrere ben 262 volte. Oltre 20.000 persone accorsero all’evento, mentre quasi la metà restarono fuori dai cancelli. In quella che il New York Times descrisse come la gara più emozionante mai disputata in città, Pietri vendicò la sconfitta di Londra. Superò il rivale anche in altre sfide durante la tournée oltreoceano. La sua fama raggiunse picchi tali da ispirare un giovane musicista, che compose una canzone su un barbiere che scommise sulla vittoria del maratoneta emiliano la somma ricavata dalla vendita del suo negozio. Quel musicista avrebbe continuato a scrivere, attingendo gloria planetaria con i musical di Broadway e pezzi come White Christmas: il suo nome era Irvin Berlin.
Pietri si ritirò nel 1911 e con i guadagni racimolati avviò delle attività imprenditoriali, che non ebbero però la stessa fortuna della sua carriera sportiva. Morì nel 1942, a Sanremo. Di lui si sentì ancora parlare nel 1948, quando i Giochi tornarono a Londra. Un giornale mandò in stampa un’intervista a un uomo che dichiarava di essere il celebre maratoneta. Da Carpi, dove Pietri aveva vissuto dopo la prima infanzia, partì una delegazione capeggiata dal sindaco, che smascherò l’impostore, un certo Pietro Palleschi di Pistoia, che fu incarcerato per truffa dopo che l’organizzazione l’aveva già scelto come starter per la maratona.
Nel centenario della drammatica prova londinese, Dorando Pietri è stato eternato da una statua dedicatagli proprio dal Comune di Carpi.
Paolo Bruschi