
Un morso da 22 milioni di euro, a tanto ammonta il prelievo forzoso che i committenti effettuano ogni anno sul valore dei buoni pasto forniti ai lavoratori dipendenti delle aziende private e della pubblica amministrazione della Toscana grazie ad un sistema di regole iniquo. “Il costo di questo gigantesco buco – dichiara Aldo Cursano, presidente Fipe-Confcommercio della Toscana- è stato finora coperto sacrificando i margini delle nostre imprese fino ad azzerarli. Ma ora il sistema è diventato insostenibile e senza un intervento legislativo serio gli effetti negativi su prezzi e qualità del servizio non tarderanno ad arrivare”.
“Si tratta di un giro di affari molto ampio - spiega Anna Lapini, presidente regionale Confcommercio. “In Toscana i lavoratori dipendenti che usufruiscono di un buono pasto sono circa 127 mila per un valore complessivo di 139 milioni di euro all’anno. La commissione chiesta agli esercenti, che comprende anche i costi dei cosiddetti servizi aggiuntivi, vale 22 milioni di euro all’anno”.
I buoni pasto hanno un valore predeterminato che viene contrattato dai dipendenti con il datore di lavoro e che le aziende, pubbliche o private, che non offrono il servizio mensa consegnano ai dipendenti come servizio sostitutivo. Possono essere emessi sia sotto forma cartacea, sia sotto forma di tessere elettroniche, e vengono accettati dai vari pubblici esercizi: oltre a bar, ristoranti, pizzerie e take-away anche da gastronomie, supermercati e ipermercati convenzionati.
“Dovrebbe esser quindi a tutti gli effetti un servizio concesso dalle aziende ai dipendenti, con un costo fisso. Ma guardiamo la realtà: l'ultima gara per i buoni pasto della pubblica amministrazione è stata aggiudicata con sconti fino al 22% sul valore dell’appalto mentre i buoni saranno messi in circolazione per l’intero valore. Allora chi paga la differenza? E qui sta l’inganno: di fatto a pagare sono gli esercenti che su ogni buono incassato si vedranno applicare la commissione necessaria a coprire la differenza. Senza considerare, poi, i costi di gestione fatti di conteggi, fatturazione, spedizione, ecc.” Ma in questo modo, aggiunge Cursano, vengono danneggiati anche i consumatori che pagano in contanti perché hanno un potere di acquisto inferiore a quello garantito dal buono pasto”.
"La spending review va fatta tagliando sprechi ed inefficienze - prosegue Cursano - non mettendo una tassa occulta sui buoni pasto a carico dei pubblici esercizi e discriminando tra consumatori".
"Quello dei buoni pasto – osserva Anna Lapini, presidente di Confcommercio Toscana - è un mercato speciale che presuppone procedure che ne garantiscono il valore lungo tutta la filiera. Ci aspettiamo che lo Stato per primo, sia attraverso Consip che attraverso l'Antitrust, non si nasconda per non vedere cosa accade sul mercato per coprire i buchi generati dai risparmi che la pubblica amministrazione cerca di fare sì, ma sulle spalle degli esercenti”.
“Anche per il buono pasto elettronico dobbiamo fare dei distinguo. Siamo favorevoli alla sua introduzione, perché per noi significherebbe eliminare fastidiosi adempimenti burocratici ed in parte anche costi. Ma oggi i costi del buono elettronico sono fuori da ogni logica di mercato e sono scaricati interamente sull'esercente: basti dire che per ogni singola transazione vengono addebitate fino a 0,48 euro a cui si aggiungono i costi di installazione del Pos ed il canone di noleggio. Ma la cosa più grave è che non esiste un Pos unico. Il sistema dei buoni pasto è infatti frammentato tra diversi operatori presenti sul mercato e gli esercenti rischiano di dover gestire 4-5 POS, uno per ciascun emettitore.”
Fipe e Confcommercio Toscana chiedono quindi all’unisono la riscrittura delle norme che regolano il mercato dei buoni pasto, senza la quale il sistema non potrà più stare in piedi.
Fonte: Confcommercio Toscana
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