Riportata in auge dalla vicenda di Bruce Jenner, che ha annunciato la volontà di cambiare sesso, la vicenda dell'atleta polacca merita di essere raccontata
Con quel tanto di morbosa curiosità per solito associata a questo tipo di notizie, giorni addietro i giornali italiani ci hanno informati che il 65enne Bruce Jenner, il decatleta americano che vinse l’oro olimpico a Montreal nel 1976, ha annunciato pubblicamente l’intenzione di voler diventare donna. La sensazione starebbe anche nel contrasto fra l’aver dominato, a suo tempo, la più maschia e virile delle discipline dell’atletica leggera, e l’attuale stato di indeterminatezza sessuale. La storia dello sport è peraltro costellata di casi di incertezza sui caratteri sessuali degli atleti. È vero però che generalmente hanno destato più scalpore - e attenzione da parte delle autorità preposte a vigilare sulla necessaria par condicio sportiva - le vicende di transizione sessuale in direzione opposta, o di sportive dalla dubbia natura femminile.
Basse insinuazioni hanno colpito anche donne singolarmente dotate dal punto di vista fisico. Martina Navratilova, dopo la metamorfosi da tennista grassottella ad amazzone ipermuscolata, dovette sopportare allusioni e volgarità, nonché l’ostilità ricorrente del pubblico. Nella finale del Roland Garros del 1985, gli spettatori incitavano la storica rivale Evert con frasi del tipo: «Dagliele Chris, vogliamo che sia una vera donna a vincere!».
Jarmila Kratochvílová, un’altra cecoslovacca, assurse agli onori della cronaca non solo per i meriti sportivi. I possenti quadricipiti, di cui sarebbe oggi orgoglioso Cristiano Ronaldo, le permisero sì di fissare nel 1983 il record mondiale degli 800 metri, il primato più vecchio dell’atletica femminile, ma furono soprattutto all’origine delle domande inevase sulle pratiche dopanti cui ricorrevano soprattutto le campionesse d’Oltrecortina. Celebre è stato il caso della pesista e campionessa europea Heidi Krieger, a tal punto imbottita di steroidi dai “dottor Stranamore” di Berlino Est da decidere di diventare “Andreas” nel 1997, a seguito dell’inevitabile operazione per il cambio di sesso.
Anche senza giungere agli estremi del doping di stato, come si diceva in principio, non sono state rare le querelle originate da indefinitezza sessuale. Una delle più famose è quella che riguardò Renée Richards, che gli indiscreti tabloid britannici indicano oggi come la consulente sessuale del confuso Bruce Jenner. Nata a New York nel 1934 come Richard Raskind, dopo vari tormenti interiori, Renée affrontò il cambio di sesso nel 1975. Tennista a livello universitario, chiese di iscriversi agli Us Open l’anno seguente. Le fu richiesto di passare un test medico, che fornì esiti indefinibili. Renée non si dette per vinta e citò in giudizio la federazione tennistica per discriminazione di genere. Nell’agosto del 1977, il giudice sentenziò in suo favore e alla fine del mese Renée giocò il primo turno del torneo, venendo sconfitta da Virginia Wade. In doppio, con Betty Ann Stuart, raggiunse la finale per perdere da Navratilova-Stove.
Più emblematica ancora dell’impossibilità dello sport di chiudere entro categorie perentorie le diverse sfumature della diversità sessuale umana è la vicenda di Stanisława Walasiewicz. Nata in Polonia nel 1911, approdò con la famiglia a Cleveland che era ancora infante. Cominciò a gareggiare da bambina nella scuola che frequentava e da adolescente ottenne le prime vittorie nelle gare della velocità, nel salto in lungo e nel lancio del disco. Nonostante la popolarità per le vittorie in pista, era canzonata dai compagni per l’aspetto poco femminile: il naso massiccio, la mascella quadrata e le gambe muscolose le guadagnarono soprannomi irripetibili e i coetanei cominciarono a sparlare di certe mutazioni o deformità che – si vociferava – l’avrebbero afflitta.
Verso la fine degli anni ’20 era comunque diventata una celebrità, dopo aver dominato le competizioni organizzate a Poznan da un’associazione della diaspora polacca e aver stracciato le avversarie nei tornei statunitensi. Approssimandosi le Olimpiadi di Los Angeles, espresse il desiderio di gareggiare per il paese dove aveva vissuto tutta la sua vita e fece domanda per la naturalizzazione con il nome di Stella Walsh. Gli effetti della “Grande depressione” però le fecero cambiare idea: il padre subì una riduzione d’orario che mise a rischio le possibilità di onorare il mutuo e Stella perse il lavoro di commessa. La federazione polacca allora le offrì una borsa di studio e la promessa di un impiego. Ai Giochi del 1932, con i colori della Polonia, Stanisława vinse l’oro nei 100 metri e al ritorno a Varsavia fu coperta di gloria. Continuò a competere, accumulando record e medaglie, fino a che, alle Olimpiadi di Berlino, mise in palio il suo titolo, che dovette cedere all’adolescente americana Helene Stephens. Irritati per la sconfitta, i polacchi sollevarono dubbi sulla femminilità di Stephens, che fu costretta a sottoporsi a un esame fisico. I medici stabilirono che si trattava di una vera donna.
Dopo le Olimpiadi, Stanisława decise di tornare in America dove riprese a correre e a vincere, stabilendo primati di longevità. Nel 1947, ebbe infine la cittadinanza americana e sposò il pugile Neil Olson, da cui divorziò poco tempo dopo. Nel 1951 vinse l’ultimo titolo della sua lunga carriera e nel 1975 fu inserita nella Hall of Fame dell’atletica americana.
Poi, la storia conobbe un epilogo tragico, ma con un’involontaria sfumatura comica, per chi ricorda una delle più folgoranti battute del film A qualcuno piace caldo. Il 4 dicembre 1980, Stella stava uscendo da un negozio di Cleveland quando fu aggredita da due balordi che tentarono di sottrarle la borsa. L’ex atleta reagì vigorosamente e uno dei malviventi estrasse una pistola. Nella colluttazione, partì un colpo, che trapassò il petto della donna recidendo un’arteria. La corsa in ospedale e un delicato intervento chirurgico non bastarono a strapparla alla morte. Come d’abitudine nei casi di omicidio, i medici legali esaminarono il cadavere. Qualcuno fece filtrare i risultati fuori dall’ufficio del giudice e voci incontrollate bisbigliarono che l’esame autoptico aveva svelato caratteri sessuali maschili. I giornali fiutarono la storia e vi si gettarono a pesce. All’alba degli anni ’80, mentre la sessualità era ancora tabu sugli organi di stampa e la parola transgender era appena stata coniata, una storia che combinava sport, fama e sesso, con un finale di sangue e una rivelazione incredibile, prometteva di far vendere un sacco di copie. Infatti, mentre il resto dell’America e del mondo piangeva l’assassinio di John Lennon, abbattuto a colpi di pistola da uno psicopatico l’8 dicembre, lettori e lettrici dell’Ohio non perdevano una battuta dell’affaire Stella Walsh. Infine, fu pubblicamente ammesso che l’autopsia aveva riscontrato la presenza di organi sessuali maschili, ma ulteriori esami cromosomici rilasciarono risultati più ambigui, facendo spazio a una condizione indefinibile, a un territorio di confine frastagliato e accidentato dove i caratteri maschili e femminili si mescolano senza una chiara prevalenza degli uni o degli altri.
Quando gli organizzatori delle Olimpiadi di Pechino annunciarono di aver istituito un "laboratorio di determinazione di genere" per testare le atlete sospettate di essere di sesso maschile, Jennifer Finney Boylan, docente, attivista transgender e autrice del best-seller Lei non è qui: la mia vita fra i due sessi, riesumò la dimenticata parabola di Stanisława/Stella. Boylan ricordò che il genere è sfuggente e mutevole e che non esistono marcatori sessuali inequivoci. Che cosa fa di un individuo una donna, si chiese: un cromosoma, l’utero, l’essere attratta dagli uomini, restare incinta, cos’altro? L’unico test di genere affidabile è quello che si fonda sulla vita della persona. In questo senso, concluse, la velocista polacco-americana doveva essere considerata donna a tutti gli effetti per il solo fatto di aver condotto l’intera vita come tale.
Il che ci riporta – se è consentito – a quel risvolto comico più sopra richiamato e che rimanda a Jack Lemmon, con indosso i panni di Daphne e i mafiosi alle calcagna che vogliono fare la pelle a lui e a Tony Curtis/Josephine: «Ci metteranno contro un muro e ta...ta...ta...ta... Troveranno due donne morte, ci porteranno all'obitorio femminile, e quando ci spoglieranno io morirò dalla vergogna!».
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