Omicidio dei carabinieri ad Alcamo Marina, mentre Gulotta attende il risarcimento al via il procedimento anche per la famiglia Mandalà

L'avvocato Pardo Cellini e Lauria Baldassare con Giuseppe Gulotta

La vicenda Gulotta, l’ex ergastolano assolto dopo 22 anni di carcere, accusato di aver ucciso due giovani carabinieri ad Alcamo il 27 gennaio 1976, va avanti in attesa di capire se vi sarà un risarcimento economico da parte dello Stato.

Si procede infatti su un altro filone.

Gulotta, residente a Certaldo con la famiglia, infatti non fu il solo condannato e il 17 febbraio 2014 Mandalà, a differenza dei compagni di sventura, non ha potuto essere presente nel momento in cui un tribunale, in nome del popolo italiano, lo ha proclamato innocente con formula piena: è morto in carcere nel 1998, per un tumore, mentre era ritenuto ancora un ergastolano.

Al suo posto in aula c’erano la moglie e i legali difensori.

Giovanni Mandalà, condannato all’ergastolo nel 1981. Nel 1976 Mandalà aveva 32 anni ed era un commerciante di vini, incensurato e sposato.

Era amico di Giuseppe Gulotta.

E possedeva una Fiat 124. L’avvocato certaldese, Pardo Cellini, si trova in queste ore nel Meridione, per incontrare la vedova di Mandalà, Maria Timpa, e i figli, Giuseppe e Benedetta, residente a Colle di Val D’Elsa.

Adesso infatti, come ha spiegato a gonews.it lo stesso Pardo Cellini, sta per scattare l’operazione risarcitoria che probabilmente si concluderà con molto anticipo rispetto a quello di Gulotta.

Si tratta infatti, con un termine tecnico, di procedere alla riparazione dell’errore giudiziario e la famiglia Mandalà ha deciso di affidarsi allo psicologo Fulvio Carbone, che ha già assistito la vedova e le figlie in questo lungo tragitto di sofferenze.

Il ricorso partirà ufficialmente i primi di ottobre e sarà compito della Corte d’Appello di Catania occuparsi di questa richiesta.

Mandalà infatti venne tirato in ballo da un camionista che aveva raccontato di essere passato vicino la caserma poco prima del delitto e di aver notato Fiat 124, proprio lo stesso modello in possesso di Mandalà.

Mandalà, come Gulotta e gli altri, venne coinvolto nella strage, inoltre, per la testimonianza di un ragazzo, Giuseppe Vesco.

Era stato fermato dai carabinieri perché nella sua auto era stata trovata una pistola, dello stesso modello in dotazione ai carabinieri uccisi, derubati dopo la strage delle loro armi.

Vesco confessò di essere il responsabile della strage, insieme a Gulotta, Mandalà e agli altri. Si suicidò in carcere un anno dopo.

Solo grazie alla revisione del processo a Gulotta si è scoperto, con la testimonianza di un carabiniere pentito che aveva partecipato a quell’indagine, che la confessione di Vesco era stata estorta con la tortura.

Spuntò poi una macchia di sangue, dello stesso gruppo sanguigno di una delle vittime, il carabinieri Carmine Apuzzo.

Era un gruppo sanguigno rarissimo, ma la corte d’appello nel 1985 la ritenne come una prova schiacciante per incriminare Mandalà.

Poi è iniziata dopo anni la revisione del processo ma nessuno potrà togliere 19 anni in carcere, da innocente, per Mandalà, morto per un tumore alla prostata e sottratto alle cure mediche. La famiglia adesso chiede il conto, ma niente e nessuno potrà riportare in vita Giovanni Mandalà.

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