
Una partenza davvero fuori dall’ordinario, questa del Festival internazionale del Teatro Romano di Volterra, prima con il bellissimo “Caligola” , regia di Aurelio Gatti visto giovedì nel sito archeologico che dà il nome al festival, poi la performance del grande Lindsay Kemp, salutata – dentro al Teatro Persio Flacco - da un quantità interminabile di applausi: alla splendida meraviglia che questo bambino quasi ottantenne continua a suscitare. Davvero un evento che in molti hanno definito storico. Anche Gabriele Rizza, decano dei critici toscani, che ha introdotto lo spettacolo, usando parole di grande elogio.
Si continua domenica 16 luglio con un altro spettacolo che viene dai Teatri di Pietra, che gira cioè nei luoghi dei teatri archeologici, in Italia e all’estero e che proprio per questo sarà allestito nel Teatro Romano di Volterra, un’esperienza assolutamente da non perdere, una specie di discesa nella nostra storia, anche quella ancestrale, prima della nascita del teatro come edificio, come se in quei luoghi avvenissero sacrifici e danze rituali, prima che gli antichi tagliassero quelle pietre in modo così magistrale. Dunque domenica sarà la volta dell’EDIPO, un testo che andrebbe letto proprio per le sue origini tribali e rituali, dunque come se fosse un mito delle origini.
Domenica comunque vedremo la versione di Sofocle, con l’adattamento e la regia di Cinzia Maccagnano, che come fece Sofocle a suo tempo, continua un lavoro di riscrittura di quello che per noi è un mito di fondazione della nostra civiltà. La Maccagnano sarà anche in scena come attrice, insieme a Dario Garofalo, Luna Marongiu, Cristina Putignano, Raffaele Gangale. “Quella di Edipo – scrive la regista – è una ribellione che avviene in se stesso: è lui che evoca la ragione e poi l’istinto, creando dialoghi serrati che diventano sempre più interrogatori, con Creonte e con Tiresia, quasi fossero voci interiori che lo tormentano e lo inducono a scavare nel conscio e nell’inconscio affinché la verità si palesi accecante come la luce.
Edipo sa ed ha dimenticato, perciò intraprende un percorso dall’interno verso l’esterno che riporta se stesso e lo spettatore a quella Verità inevitabile, già presente. Il dentro e il fuori: il male è fuori come rappresentazione del dentro, e il dentro emerge e incalza.
Il Coro sin dall’inizio è il fuori che spinge Edipo a trovare la causa di tanto male. La peste dilaga a Tebe come una coltre senza speranza che si spande per chiedere il suo tributo. La peste è un nero che tutto invade, come la visione della realtà da parte di chi ha un malessere. È la non-speranza. Edipo appare, nel cuore della notte, ai piedi del talamo nuziale, tormentato da incubi, pensieri ed echi di voci di popolo. Così comincia il suo viaggio iniziatico dal buio della sua esistenza al bagliore accecante del vero. Tutto il percorso è una rappresentazione di cui Edipo soltanto è inconsapevole. Creonte prima, Tiresia poi e la stessa Giocasta, ciascuno a proprio modo, sembrano condurre il re a specchiarsi per vedere sé stesso e,‘per oscura che sia’, la sua stirpe”.
La scena ruota e con lei il punto di vista, quasi imitando il movimento di una macchina da presa, per mettere a fuoco le dinamiche e i rapporti tra i personaggi che agiscono in un dichiarato gioco dimessa in scena che si fa sempre più chiaro man mano che Edipo perde lucidità precipitando nell’inganno della rappresentazione resa esplicita dalla costruzione di un vero e proprio “teatrino” su cui prende forma l’inesorabile tragedia. "Luce, ora ti vedo per l’ultima volta!”grida quando ormai è tutto rivelato e la luce abbagliante del vero non può che lasciare spazio alle tenebre. Ma per quanto accecante la verità, è l’unica strada verso la consapevolezza a cui alla fine giunge Edipo che, privandosi degli occhi e dell’inganno che da essi ne è venuto, intraprende la via della conoscenza di sé e della catarsi”. “La vita finisce dove comincia".
Fonte: Ufficio Stampa
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