Palio di San Rocco 2016, l'intervista al direttore Andrea Mancini

Andrea Mancini

“Il quartiere adesso è rientrato nel suo storico sonno, ma per nove giorni abbiamo illuminato lo Scioa, da piazza Buonaparte fino a piazza XX settembre”, così  dice Andrea Mancini, il direttore del Palio di San Rocco.

Chiediamo a Mancini, com’è andata quest’anno e lui ci risponde con  evidente soddisfazione: “Siamo all’ottavo anno, e non pensavo si potesse eguagliare il successo dell’ultima edizione, quella con Dacia Maraini, invece quest’anno è stata di gran lunga la festa più bella, tra l’altro con due giorni in più: la formula funziona e i risultati sono evidenti. Le persone hanno affollato ogni momento del Palio di San Rocco, dagli incontri pomeridiani fino a notte”.

Cominciamo dai pomeriggi, qual era il programma?

C’erano più cose – risponde Mancini – ma devo almeno citare “La Francigena e la Romea” per chi ci sta”, tre bellissime passeggiate nei dintorni di San Miniato: cioè agli scavi di San Genesio, alla chiesa di sant’Angelo, alla casa del Giudeo, nei vicoli carbonai, sulla Rocca e da tante altre parti, guidati e ispirati dal “poeta delle strade”, quel Giovanni Corrieri che riesce sempre a riempirci di stupore, se non altro perché ai suoi appuntamenti, al caldo sole dei pomeriggi sanminiatesi, c’è sempre tantissima gente, italiani e stranieri”.

Ma c’erano anche gli incontri, a quanto so frequentatissimi?

Certo, ci sono stati nove straordinari incontri, a partire da quello sul “Giubileo delle donne” insieme a don Andrea Cristiani, fondatore del Movimento Shalom, che insieme alla Filarmonica Verdi ha organizzato l’intera manifestazione. Con don Andrea c’erano Angela Cardellicchio e Chiara Boddi, una ragazza di poco più di sedici anni che ha raccontato le donne dal punto di vista dei giovani. Il giorno dopo si è parlato di follia, con Claudio Ascoli della Compagnia Chille de la balanza, che da vent’anni lavora dentro l’ex ospedale psichiatrico di San Salvi, a Firenze. Ascoli si è incontrato con il lavoro di Eluisa Lo Presti degli Ortolani Coraggiosi e Marino Lupi, presidente di Autismo Toscana. Il 10 agosto è stata la volta di un interessante dibattito sul “Giubileo degli ebrei”, con Marilina Veca, Lialian Reggie Yechoua e Gianni Lusena, console in Italia della Repubblica di Colombia.

L’11 agosto, giorno di Santa Chiara, siete entrati addirittura in chiesa?

Sì, è stato molto bello: un grande attore, come Emanuele Arrigazzi ha letto alcune pagine del profeta Isaia, quelle che parlano del corno sacro, che in pratica è l’origine della parola Giubileo. Del resto è proprio Gesù che cita queste pagine nel Vangelo di Luca. Insomma il nostro è un modo per capire di più quello che ci succede intorno, la gente ha sempre affollato i nostri incontri, c’è un grande bisogno di comprendere, di approfondire.

La risposta è sempre di riconoscenza estrema, per quello che riusciamo ad organizzare. Questo evidentemente ci spinge a continuare.

Ma andiamo avanti, che è successo negli altri giorni?

Prima un incontro sul “Viaggio di un attore”con Emanuele Arrigazzi, un attore importante arrivato per qualche giorno al festival. L’incontro, anche questo moto affollato, è stato pieno di spunti straordinari, a partire da una carriera sempre ricca di soddisfazioni, ma anche di grandi delusioni, Il 12 è stata la volta di due monumenti della cultura italiana, che nella piazza di Santa Caterina, quella dove si svolgevano gli incontri, hanno passato l’infanzia e la prima gioventù, cioè i fratelli Taviani.

Ma non c’erano Paolo e Vittorio?

No ne ha parlato Umberto Montiroli, da sempre il loro fotografo, che quest’anno ha vinto a Cesena il premio come miglior fotografo di scena. Insieme a lui c’era Jaurès Baldeschi, autore dell’ultima monografia sui due fratelli.

Il giorno dopo c’era addirittura il Vescovo?

Sì è arrivato monsignor Migliavacca, insieme a don Raimondo Sinibaldi, dell’Ufficio Pellegrinaggi di Vicenza, hanno parlato di strade e di pellegrinaggi, sulla Francigena e sulla Romea, legandosi anche alle motivazioni che papa Francesco ha avuto indicendo il Giubileo di Misericordia. E’ stato un incontro di rara intensità, ma anche divertente: i due sacerdoti hanno il senso del pubblico e hanno saputo raccontare con rara passione.

Sono rimasti due giorni, avete continuato anche per Ferragosto?

Sì, tra l’altro io ero preoccupato, pensavo non venisse nessuno, invece non sono bastate le sedie, per ascoltare Veronica Benedetti, una ragazza giovanissima che, insieme a Giacomo Gozzini, assessore al turismo di San Miniato, ha tra l’altro parlato di una serie di singolari modi di presentare la città ai visitatori. Poi il giorno dopo è arrivato in piazza quel mito della canzone italiana che è Don Backy. Io ho provato a fargli qualche domanda, ma lui ha iniziato un flusso quasi ininterrotto di narrazione, a partire dai suoi anni giovanili, quando esordì accanto a Celentano. E’ stata una serata importante, purtroppo come altre interrotta sul più bello: quando Aldo Caponi aveva poco più di 18 anni e non si chiamava neanche Don Backy!

E il resto del programma?

Partirei proprio dalla fine, dal concerto di Don Backy, con la piazza Buonaparte strapiena di gente. A tutti è sembrato che il cantante abbia dato il meglio di sé, un’esibizione di eccezionale livello, accompagnata da tre bravissimi professionisti e preceduta dalla notizia che una piazza di San Miniato sarà dedicata a “L’immensità”, una delle canzoni più belle di Don Backy. È stato Vittorio Gabbanini, il sindaco di San Miniato, a dare la notizia e da allora sono partite da tutta Italia centinaia di cartoline che appoggiano l’iniziativa. Prima di Don Backy si era anche esibito un gruppo più giovane, che ha lavorato con il cantante in almeno quattro incisioni di suoi pezzi, quello dei Sir Randha. Anche loro sono stati bravissimi a restituire la musica di Aldo Caponi, ma secondo i ritmi Ska. Durante tutte i fine serata, dopo che tutto sembrava finito, nell’Oratorio di San Rocco, il Teatro della Conchiglia ha presentato nove film di cui Don Backy è stato interprete o addirittura protagonista e in quelle sere si sono viste anche le belle registrazioni dei Sir Randha.

C’è stato anche molta ricreazione e poi cinema e anche tanto teatro?

La ricreazione è stata offerta soprattutto dall’impagabile lavoro della Filarmonica Verdi, che oltre che il ristorante, ha realizzato tutta la parte tecnica, organizzando anche alcuni momenti di intrattenimento. Per quanto riguarda il cinema, oltre quello interpretato da Don Backy, di cui abbiamo già parlato, c’è stato “Bomba libera tutti!” di Alessandro Gelli e Mattia Catarcioni, portato dall’Arci della zona del cuoio, davanti a una vera e propria folla, ma anche altre due affollatissime proiezioni, cioè quella di “Il sarto dei Tedeschi” di Antonio Losito, scritto e interpretato da Cristiano Mori e “La passione e l’utopia” di Mario Canale, uno splendido documentario sui fratelli Taviani, dove tante immagini erano dedicate a San Miniato e al nostro quartiere. Ultimo il teatro, ci sono stati una ventina di spettacoli, di alcuni abbiamo già accennato, vogliamo però ricordarne altri, in particolare quello bellissimo realizzato dal gruppo CoRe, gli anziani di nove case di riposo della zona, che diventano meravigliosi attori in un progetto che da solo basterebbe per qualificare l’intero festival.

Quest’anno un centinaio di persone hanno dato vita a “Che mondo sarebbe senza panzanella (col pane di ieri)”, un lavoro dove, oltre alle canzoni e alle letture di brani scritti dagli anziani, si è potuto assistere alla bellissima preparazione di questo tipico piatto toscano, su una grande tovaglia a quadretti, stesa in mezzo agli spettatori, che poi hanno potuto gustare il prelibato piatto, preparato in quantità.

Degli altri spettacoli dobbiamo almeno citare il “Siete venuti a trovarmi” di Chille de la balanza, tratto dal diario di un internato del manicomio di San Salvi, scritto, diretto e interpretato da un intenso Matteo Pecorini e poi i due spettacoli della Casa degli Alfieri di Asti, con Emanuele Arrigazzi che, oltre al suo lavoro con Pier Francesco Favino e Luca Barbareschi, si dedica da anni ad un percorso di narrazione, di cui ha dato ampia e apprezzatissima prova, sia in “Groppi d’amore nella scuraglia” di Tiziano Scarpa, che ne “I lunatici” di Ermanno Cavazzoni.

Ultimo lavoro da citare sono due bellissimi spettacoli dove la danza faceva da padrona, sia “Flamenco!” dovuto al gruppo guidato da Maria Teresa Spinelli, sia  “Danzando nelle diaspore”, dove alla danza era dedicata una parte preponderante, dovuta alle splendide esibizioni della stessa Spinelli, accompagnata da Alessandro Ciardini e da Marilina Veca, di cui abbiamo potuto ammirare alcune inedite, almeno per noi, danze di corte spagnole, di origine ebraica. Alla cultura sefardita era del resto dedicato l’intero spettacolo, sia nei brani letti dal libro della Veca, intitolato “Splandiana”, sia nelle stupende canzoni cantate da Ilaria Savini e da Simone Faraoni, eccezionali interpreti di una musica straordinaria.

C’era altro in programma?

Certo, molto altro, vogliamo ricordare ancora due serate, quella dedicata a “Bellissima Italia”, il libro di Luca Nannipieri che documenta il viaggio che per Rai Uno ha fatto questo giovane storico dell’arte, attraverso un’Italia meravigliosa, ma anche devastata. Poi il libro di Gesù Fantacci, “Inferno o son desto”, che è stato occasione per ricordare una donna importantissima per San Miniato, cioè la moglie di Dilvo Lotti, Giuseppina Gazzarrini. Ne ha parlato, oltre allo stesso Fantacci, il pittore Luca Macchi, tracciandone un ritratto davvero intenso e commovente.

Ancora alcune parole vanno dedicate ad altri due spettacoli andati in scena in piazza Buonaparte, cioè di Circusbandando, una performance travolgente con Paco Paquito e Celestina e poi “Marasco all’inferno”, dove Marzio Matteoli ha cantato canzoni del grande cantautore fiorentino, accanto al travolgente Dante Alighieri di Giovanni Terreni. Anche questa una bellissima serata.

Vorrei tu dedicassi qualche parola anche alle mostre…

Certo! Da piazza Buonaparte a piazza XX settembre si sono aperte tutta una serie di bellissime mostre. Partiamo da quella di Sauro Mori, il pittore che ha donato “Immensità” a Don Backy, cioè il Premio San Rocco 2016. Nella sua mostra, intitolata “Il poggio coronato”,  Mori ha esposto una cinquantina di opere tutte realizzate sul lago di Roffia, con risultati espressivi davvero importanti. Poi dobbiamo ricordare l’altra grande esposizione dedicata a Umberto Montiroli, una parte su “Cesare deve morire”, il film dei Taviani vincitore dell’Orso d’oro a Berlino, l’altra che proponeva una scelta degli scatti che Montiroli ha realizzato in quarantenni di lavoro, sui set dei vari film dei due fratelli sanminiatesi. Poi ancora una mostra dei bellissimi quadri aquiloni che vari artisti hanno realizzato per il Comitato manifestazioni popolari di San Miniato e infine  altre quattro mostre monografiche dedicate ad altrettanti fotografi, cioè Daniele Alamia, Piero Fiaschi, Pasquale Moffa e Andrea Lippi.

Un programma intensissimo! ma si può ripetere, si può migliorare?

Certo, che si può migliorare, anche se il festival è ormai arrivato ad avere un’ immagine molto precisa. Cìè dietro un’idea che direi unica, una sua “politica culturale”, quella che si intuisce fin dal sottotitolo, cioè Festival del pensiero popolare.  La nostra proposta vuole essere quella di idee importanti, alte, da trasmettere alla gente comune. Ogni anno ci riusciamo sempre di più. Certo avremmo bisogno di qualche altra risorsa, ad esempio per pubblicizzare la nostra manifestazione. Vediamo, vicine e lontane, cose che hanno programmi infinitamente meno interessanti, ma che riescono ad avere un’attenzione diversa da parte dei media. Insomma chiederemmo aiuti assai più consistenti da parte degli organismi pubblici e privati. Ma siamo ancora ad agosto, potremo lavorare a questo nostro progetto, sapendo che – come abbiamo ampiamente dimostrato – il mondo può essere interessato al nostro lavoro, basta guardare al nostro pubblico, ogni anno crescono le presenza internazionali e extra regionali: vengono austriaci, tedeschi, quest’anno anche inglesi, e poi abbiamo avuto persone che venivano da Milano, da Torino, da regioni del sud. Ognuno di loro ha incontrato il festival per caso, e da allora viene a San Miniato proprio nei giorni del Palio. Per noi è una grande soddisfazione!

Fonte: La conchiglia di Santiago

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