Edwin Moses, un re inatteso ai Giochi di Montreal

Il 25 luglio di 40 anni fa, l'ostacolista afro-americano era solo un neofita, ma fu capace di vincere l'oro olimpico e stabilire il nuovo record del mondo


Edwin

Nato a Dayton, Ohio, nel 1955, da due insegnanti, Edwin Moses prese la scuola più seriamente di tanti ragazzini di colore. Passò oltre le superiori e decise di iscriversi all’università, scegliendo il Moorhouse College di Atlanta che gli garantì una borsa di studio per meriti accademici. Lo sport non era la sua prima preoccupazione, soprattutto quando lo esclusero dalle squadre di basket e poi di football. Si dedicò allora all’atletica e scoprì che le discipline individuali gli andavano particolarmente a genio. Sui 110 ostacoli o i 400 metri, era solo una questione fra lui, la pista in tartan e il cronometro. Per uno che si sarebbe laureato in fisica, non c’era niente di meglio: tutto era chiaro e oggettivo, nessuna arbitrarietà o discrezionalità.

Il college però non aveva un anello per l’atletica e così il giovane Moses si allenava sulle piste dei parchi pubblici, seguendo un approccio rigorosamente scientifico e sottoponendosi a turni di lavoro massacranti. Perciò lo chiamavano “l’uomo bionico”, con evidente riferimento a “L’uomo da sei milioni di dollari”, la fortunata serie televisiva all’epoca in onda negli Stati Uniti. Nel marzo 1976, seguì un consiglio e si cimentò per la prima volta nei 400 ostacoli. Vinse con irrisoria facilità e inanellò progressi inauditi in poche settimane. Fu subito chiaro che era apparso un predestinato, toccato dalla grazia di una falcata lunga e poderosa che si adattava magnificamente agli ostacoli bassi del giro di pista. Con il marchio di fabbrica dei 13 passi fra una barriera e l’altra – quando gli avversari ne impiegavano 14 o anche 15 – si presentò da sconosciuto ai Giochi di Montreal. L’edizione canadese fu boicottata dai paesi africani, per protesta contro la politica sudafricana dell’apartheid. Moses non trovò pertanto l’avversario più temibile, l’ugandese John Akii-Bua, campione olimpico in carica e titolare del record mondiale con 47’’82.

L'inimitabile falcata di Moses

L'inimitabile falcata di Moses

Con scioltezza disarmante avanzò oltre i turni preliminari e il 25 luglio 1976, solo quattro mesi dopo la sua prima gara nei 400 ostacoli, si accomodò in quarta corsia, quella del favorito. Dietro le lenti scure degli occhiali da vista, squadrò gli avversari dall’alto dei suoi 188 cm di altezza e scattò dai blocchi con un leggero sbandamento, pestò la striscia divisoria della corsia interna e poi si distese nell’andatura che l’avrebbe reso un mito dello sport. Vinse sul connazionale Michael Shine con un margine di otto metri, il più ampio mai registrato fino ad allora, e stabilì il nuovo primato del mondo con 47’’63.

L'abbraccio con Shine dopo la vittoria di Montreal

L'abbraccio con Shine dopo la vittoria di Montreal

Nonostante il suo fosse l’unico oro individuale degli Stati Uniti nelle gare di corsa, Moses ricevette una fredda accoglienza al ritorno in patria. Il volto imperscrutabile, gli occhiali dietro cui celava lo sguardo e il portamento austero congiuravano nell'alienargli le simpatie dei tifosi. Il giro d’onore di Montreal, abbracciato al bianco Shine, era stato salutato da tutti i giornali come un segno tangibile degli alti ideali di Olimpia, ma il pubblico lo giudicava distaccato e arrogante. Né andava meglio con i mass media, che snobbavano anche i 400 ostacoli, quasi mai trasmessi in televisione pure in occasione dei meeting più prestigiosi: «Sono il migliore specialista dell’atletica mondiale, a parte Alberto Juantorena, e non ricevo che una minima frazione del riconoscimento che meriterei. Non so cos’altro dovrei fare», dichiarò al New York Times un Moses sconsolato ma certo dei suoi mezzi.

Negli anni avrebbe trovato il modo di diventare una leggenda dell’atletica, un misto non più eguagliato di velocità, tecnica, eleganza e determinazione, che gli valsero un altro oro olimpico e due titoli mondiali. Soprattutto, la sua impresa più sbalorditiva fu restare imbattuto fra l’agosto 1977 e il giugno 1987, accumulando ben 122 vittorie consecutive e abbassando il record mondiale fino a 47’’02.

Paolo Bruschi