
Sono stata invitata da Paolo Cochi ad intervenire alla presentazione del suo libro “Mostro di Firenze, al di là di ogni ragionevole dubbio” alla libreria Mondadori di Borgo San Lorenzo sabato 18 maggio. Per l’occasione ho preparato un ipotetico profilo criminologico del Mostro di Firenze. Si, perché a mio avviso, tutta questa macabra vicenda è opera di una persona sola. Cogliere gli aspetti salienti della personalità di un serial killer è sempre un’operazione complessa perché, anche se vi sono peculiarità ricorrenti nei singoli autori, risulta comunque evidente che ogni caso è sostanzialmente contrassegnato da specificità proprie.
Un primo punto in comune, secondo me, è quello di non definire mai questi serial killer dei mostri o dei pazzi. Il loro modo di agire, infatti, richiede spesso una programmazione molto accurata dimostrando una notevole capacità di sottrarsi alle indagini, che spesso può risultare incompatibile con la malattia mentale. Un altro dato, che deriva da studi americani, ci dice che oltre il 50% dei serial killer appartiene alla categoria definita “locale”, pertanto si tratta di criminali che tendono a compiere reati in un’area ristretta, in cui si identificano. Il luogo ha quindi un ruolo importante. Infatti non è probabile che l’aggressore conoscesse o fosse personalmente in contatto con le sue vittime, piuttosto le vittime gli erano sconosciute e divennero tali perché erano a lui disponibili quando scelse il luogo per i suoi attacchi.
I verbali di autopsia per questi 8 casi ci indicano che l’assalitore in tutti tranne che in 3 casi, ricorse ad attacchi multipli ai danni delle sue vittime, utilizzando un’arma da fuoco, la famosa beretta calibro 22 marca Winchester,con incisa la lettera H sul fondello, che ritroveremo in tutti i duplici omicidi, ed un’arma bianca. L’uso dell’arma da taglio consente di parlare di determinazione e precisione, senza che ciò corrisponda necessariamente ad esperienza settaria e chirurgica. Nelle vittime del primo e del sesto omicidio non ci sono stati atti di mutilazione. Probabilmente perché nel primo omicidio abbiamo la presenza del bambino nel veicolo e nel sesto abbiamo invece la coppia omosessuale, che quindi scardina lo schema prestabilito dal Killer di un uomo ed una donna. Prova, quest’ultima, di come l’offender scegliesse il luogo per i suoi attacchi e non le sue vittime, altrimenti avrebbe optato sicuramente per una coppia formata da un uomo ed una donna.
Facendo riferimento a due famosi studiosi De Burger ed Holmes (1988), che distinguono i serial killer in base al movente, nella categoria che loro definiscono “Hedonist” possiamo forse ritrovare qualche aspetto del mostro di Firenze nel momento in cui ci dicono che l’uccisione è finalizzata al soddisfacimento del loro piacere personale. Essi si dividono in: lust oriented, thrill oriented e comfort oriented. Nel libro di Cochi si parla proprio di lust murder, in queste persone abbiamo la connessione tra libidine e desiderio di uccidere, stiamo parlando di qualcuno che sessualmente si soddisfa uccidendo.
Per tipologia di assassinio, prendendo sempre come riferimento gli studi fatti negli States, terra molto più prolifica di serial killer rispetto al nostro paese, è molto difficile che omicidi del genere, di matrice sessuale, e con il modus operandi adottato in tutti gli otto duplici omicidi, e cioè eliminando subito, grazie alla pistola, l’ostacolo principale ossia il partner maschile, per poi concentrarsi sulla figura femminile, siano associati a più persone. Solitamente in questi casi è un singolo ad operare, e quindi l’opzione “compagni di merende” non combacia assolutamente. E anche l’opzione del mandante che conserva feticci sessuali, in relazione semmai a riti di matrice esoterica da dover compiere, sembra veramente un’altra ipotesi poco credibile perché riscontri effettivi ed oggettivi non ce ne sono.
Nel nostro caso il periodo tra un omicidio e l’altro si dilata molto nel tempo, addirittura di anni. Ma già nella storia criminologica abbiamo dei precedenti.Il libro infatti, fa riferimento a Jeffrey Dahmer,famoso serial killer statunitense. Esso compì il suo primo omicidio nel 1978, poi si iscrisse all'università, la lasciò dopo sei mesi. Si arruolò e compì il suo secondo omicidio solo nel 1987. E’ verosimile che nel lasso di tempo intercorso vi sia stato nell'omicida un’evoluzione dei tratti psicologici, dei comportamenti e delle fantasie. Un altro elemento tipico del Serial Killer sembra sia il voler avere un qualche contatto con gli inquirenti.
Ora, non sappiamo se anche quest’ultimo elemento rientri nella vicenda del “Mostro di Firenze” o se il tutto è frutto di un tentativo di sviare le indagini ma, due giorni dopo il delitto di Vicchio del Mugello, alla Procura della Repubblica di Firenze giunse una lettera contenente un frammento di tessuto mammario. Le analisi riveleranno caratteristiche del tutto simili a quelle del campione prelevato dall'ultima vittima del mostro. Qualche giorno dopo ai carabinieri di San Casciano venne recapitata una lettera anonima in cui si consigliava di effettuare alcuni controlli su un personaggio che entrerà, per la prima volta, in questa macabra storia e che sarà destinato a non uscirne più: Pietro Pacciani, condannato in primo grado a più ergastoli per 7 degli 8 duplici omicidi, assolto in appello e morto da innocente, prima di essere sottoposto ad un nuovo processo di appello, a seguito dell’annullamento della sentenza di assoluzione da parte della Cassazione nel 1996.
Se ancora oggi dopo la bellezza di quasi 50 anni dal primo omicidio siamo ancora qui a parlare del Mostro di Firenze, è perché l’ombra del dubbio è sempre presente all'interno di questa storia. Ombra,che non sarà destinata a diradarsi se nessuno avrà la volontà di riprendere tutto in mano e ricominciare da capo. Paolo Cochi, con il suo libro ha fatto un bel passo in avanti, ci ha mostrato una verità storica molto diversa da quella giudiziaria, basandosi su elementi scientifici, ora però, dovrebbero fare la loro parte gli organi competenti in materia. (ricordiamo che l’art. 630 c.p.p. prevede l’ipotesi di revisione del processo)
Giulia Meozzi