L'unico Europeo dell'Italia, grazie a una moneta

Ancora pochi giorni e avrà inizio in Francia il Campionato europeo di calcio, che gli azzurri hanno vinto solo una volta, con un bel colpo di fortuna


(Questo post è una versione multimediale dell'articolo uscito il 4 giugno scorso su Alias, il supplemento settimanale del manifesto)

È stato scritto che il ‘68 fu un anno formidabile. La contestazione giovanile divampò da un paese all’altro come una febbre inestinguibile. Negli Stati Uniti, le proteste contro la guerra del Vietnam si sommarono alla lotta degli afro-americani per i diritti civili. La Cina fu attraversata dalla rivoluzione culturale delle guardie rosse. In Europa, la ribellione partì dagli studenti francesi e subito si diffuse nel resto del continente, dilagando oltre la Cortina di ferro, a Varsavia, a Praga, a Belgrado. Ovunque, la contestazione scuoteva dalle fondamenta una società invecchiata e sclerotica. Anche lo sport fu investito dal vento della storia e per un breve, esaltante periodo tutto parve possibile. Accadde persino che la finalista del Campionato europeo venisse decisa dal lancio di una moneta.

Le final four, come si direbbe oggi, si disputarono in Italia. Il 5 giugno 1968, mentre Bob Kennedy agonizzava per l’attentato subito al termine delle primarie californiane, gli azzurri sfidarono l’Urss a Napoli. Non ne vennero a capo nemmeno in 120 minuti, anche per un infortunio che menomò Rivera dopo pochi minuti (all’epoca le sostituzioni non erano ammesse) e per un clamoroso palo di Domenghini allo scadere dei supplementari. L’adrenalinica e conclusiva lotteria dei rigori non era ancora stata inventata, il regolamento prevedeva che il vincitore fosse decretato da un’ineffabile monetina. Rinchiuso negli spogliatoi, al cospetto dei capitani Shesternev e Facchetti, un funzionario UEFA lanciò in aria una guinea olandese e fu il leggendario difensore nerazzurro a uscire esultante sul prato del San Paolo.

Giacinto Facchetti esce festante dagli spogliatoi dopo il sorteggio

Giacinto Facchetti esce festante dagli spogliatoi dopo il sorteggio

Nella semifinale di Firenze, gli inglesi, trionfatori nella Rimet casalinga di due anni prima, furono a sorpresa superati dalla Jugoslavia, che nel girone eliminatorio aveva già estromesso i vicecampioni mondiali della Germania Ovest. L’atto conclusivo andò in scena all’Olimpico di Roma, tre giorni dopo. L’allenatore italiano Ferruccio Valcareggi dovette rinunciare all’infortunato Golden boy rossonero e spedì in panchina pure Gigi Riva e Sandro Mazzola, puntando su Anastasi, Lodetti e Prati. Gli slavi confermarono il loro stato di grazia e si portarono in vantaggio prima del riposo. Continuarono a spadroneggiare nella ripresa, sbagliarono qualche gol di troppo e soprattutto si imbatterono nell’arbitro svizzero Gottfried Dienst, il cui stile di direzione “casalingo” aveva già favorito l’Inghilterra nella finale mondiale del 1966. Alla fine, una generosa punizione dal limite fu trasformata da Domenghini con una memorabile “ciabattata”, che beffò l’incolpevole portiere Pantelic. L’1-1 non cambiò nel prolungamento e fu necessaria la ripetizione. Il 10 giugno, Valcareggi inserì Rosato, Salvadore, De Sisti, Mazzola e finalmente Riva. Senza validi rincalzi, la nazionale del ct Mitic andò in debito d’ossigeno e fu ampiamente dominata: due precoci reti di Riva e Anastasi mandarono in visibilio il pubblico, che sperimentò per la prima volta il delirio estatico applicato al calcio. Mille fuochi si accesero sugli spalti a incantare la notte romana e nacque il rituale, oggi ormai consunto, dei caroselli di auto per le città in festa.

La formazione italiana che sconfisse la Jugoslavia

La formazione italiana che sconfisse la Jugoslavia

Quell’alloro ruppe un digiuno che durava dal titolo iridato vinto in Francia nel 1938 e venne dopo decenni di umiliazioni, culminate con la tragicomica eliminazione da parte della Corea del Nord ai già ricordati Mondiali britannici - la mortificante sconfitta contro gli asiatici indusse la Federcalcio a interdire alle società l’acquisto di calciatori stranieri (il bando sarebbe stato rimosso nel 1980) e a ridurre a sedici le partecipanti alla serie A dopo ben ventiquattro anni.

In pratica, l’inattesa resurrezione degli azzurri agli Europei del 1968 seguì un periodo di risultati ben mediocri, più o meno uguali a quelli conseguiti dall’Italia negli ultimi anni. Ma questo non è un pronostico.

Paolo Bruschi

<< Indietro
torna a inizio pagina