Lo stalking: oltre il corteggiamento

Con l’approssimarsi del mese di marzo si torna a parlare della festa della donna e delle violenze, dei soprusi e delle discriminazioni che le donne subiscono ancora in tutto il mondo. Una forma di aggressione fisica e psicologica molto frequente che logora in modo continuo, lentamente, giorno dopo giorno è il fenomeno dello stalking.

To stalk” in inglese significa “seguire in modo ossessivo”, “pedinare”, “braccare”, che rende l’idea di quanto, questo, possa generare stati di ansia e paura nella vittima a tale punto che il normale svolgimento della vita quotidiana risulta compromesso.

Possiamo quindi definire lo stalking come una “forma di aggressione messa in atto da un persecutore che irrompe in maniera ripetitiva, indesiderata e distruttiva nella vita privata di un altro individuo, causando in quest’ultimo gravi conseguenze fisiche o psicologiche (Maran, 2010). Questi comportamenti inopportuni hanno lo scopo di instaurare un legame o molto più spesso di ripristinare una relazione interrotta.

Questo fenomeno è anche conosciuto come “sindrome del molestatore assillante”, ed è caratterizzato da tre aspetti fondamentali, ovvero la presenza di un persecutore o stalker, di una vittima e di una relazione tra questi due soggetti, ma con una forma di controllo di uno sull’altro che genera ansia e paura nella persona perseguitata.

Tuttavia è un fenomeno assai più complesso, in quanto i comportamenti messi in atto possono essere quelli tipici di un corteggiamento come telefonate, sms, regali, è quando diventano inopportuni e non graditi, tanto da essere vissuti come intrusivi, che si passa al reato di stalking; perché è un reato, sanzionabile a tutti gli effetti, secondo la legge (art. 612-bis, 2009).

Tra i comportamenti messi in atto più di frequente abbiamo:

  • Comunicare continuamente mediante telefono, sms, lettere, mail a qualsiasi orario;
  • Lasciare messaggi sui social network, oppure sull’automobile, porta di casa, luogo del lavoro;
  • Pedinare la vittima;
  • Investigare su come trascorre la giornata;
  • Inviare messaggi indesiderati;
  • Diffondere diffamazioni o oltraggiare direttamente la vittima;
  • Danneggiare le proprietà della vittima;
  • Compiere aggressioni fisiche o sessuali nei confronti della vittima;
  • Minacciare direttamente la vittima e le persone ad essa vicine.

Ma perché una persona può arrivare a tanto?

Lo scopo dello stalker è quello di attirare l’attenzione della vittima che nel suo immaginario diventa una sorta di “oggetto” che può soddisfare i suoi bisogni. La problematica dello stalker rientra nell’area affettivo- emotiva e i suoi comportamenti sono molto simili a quelli di chi soffre di una dipendenza affettiva, non tollerano il rifiuto, la distanza dall’oggetto amato e negano la realtà. Non è tuttavia facile far rientrare questi comportamenti in uno specifico quadro psicopatologico; gli scopi che guidano il comportamento, infatti, possono essere diversi.

Sembrerebbe, infatti, che esistano cinque tipologie di stalker (Mullen, 2002), che si contraddistinguono per il variare del loro “sistema degli scopi”, quindi dei loro bisogni e desideri verso l’altro.

Il “risentito” spesso può trattarsi di un ex partner ma non è detto, si tratta ad ogni modo di una persona che crede di aver subìto un danno ingiustamente e questo li fa sentire autorizzati a vendicarsi e a fare del male alla persona che reputano responsabile, arrivando a situazioni più estreme. È quello che agisce ferendo direttamente la persona, la sua immagine o le sue proprietà.

Il “bisognoso d’affetto” è invece quello stalker che è spinto dal bisogno di creare una relazione affettiva con la vittima che viene scelta spesso in modo casuale, ogni segnale di vicinanza o di confidenza espressa dalla vittima viene letta come chiara espressione del desiderio di contatto e vicinanza emotiva, che giustifica quindi i propri comportamenti lesivi.

Il “corteggiatore impacciato” è quella persona con scarse capacità relazionali, imbranato, inadeguato nell’approcciare la vittima la quale si sente oppressa, “invasa”, aggredita.

Il “respinto” coloro che rientrano in questa categoria mettono in atto il comportamento di stalking, come conseguenza di un rifiuto, perché lasciati dal partner verso il quale vogliono avere ancora una sorta di controllo che li porta ad essere molto insistenti nei loro approcci. Generalmente questo tipo di stalker oscilla tra il desiderio di ripristinare la relazione e quello di vendetta per la ferita narcisistica subita.

Il “predatore” quello che solitamente è mosso dal desiderio di avere un contatto di tipo sessuale con la vittima, le reazioni di paura e agitazione di quest’ultima accrescono il desiderio dello stalker innescando un circolo vizioso che si auto mantiene.

Stalker, uomo o donna?

Nell’immaginario collettivo siamo portati a pensare che gli stalker siano uomini e le vittime donne, in realtà non è così, lo stalking è fatto anche di violenza psicologica che una donna può mettere in atto attraverso la violenza verbale, minacce sottili, comportamenti subdoli che logorano e sfiniscono la vittima.

Alcune differenze, tuttavia, ci sono, le donne nella maggior parte dei casi conoscono la persona che perseguitano, che generalmente è l’ex partner ed hanno la stessa possibilità di molestare uomini o donne, al contrario dello stalker maschile che invece sceglie sempre una vittima di sesso opposto.

Come vivono tutto ciò le vittime

Essere vittima di stalking comporta implicazioni importanti, soprattutto quando si è protratto per un lungo periodo. Ovviamente ogni persona reagisce in modo diverso alle situazioni stressanti e molti sono i fattori che vi influiscono, intanto il percepirsi capaci di fronteggiare la situazione, le esperienze pregresse, la presenza di una buona rete sociale, la storia di vita e altri elementi. Le vittime di solito sperimentano emozioni di paura per la propria vita o per i propri cari, di rabbia verso il molestatore, ma anche di colpa e di vergogna per quello che sta accadendo e che le può condurre a chiudersi in se stesse, in un auto isolamento senza saper chiedere aiuto in modo adeguato. Le vittime possono arrivare a sviluppare problematiche riguardanti la sfera dei disturbi d’ansia, fino ad arrivare a sviluppare il Disturbo da Stress post-traumatico, con insonnia, incubi, ipervigilanza, incapacità a rilassarsi, pensieri intrusivi rispetto allo stalker, perdita di interesse e piacere nel dedicarsi ad attività un tempo gradite.

Cosa possiamo fare se si è vittime di stalker

Il primo passo è senza dubbio diventare consapevoli del problema: i comportamenti messi in atto dallo stalker, infatti, non sempre vengono ritenuti una difficoltà, spesso sono considerati naturali, culturalmente accettati, che fanno parte dell’uomo geloso e passionale che vuole riconquistare la partner. Per questo, almeno inizialmente, possono esserci delle riluttanze a riconoscere questi comportamenti come un problema e potenzialmente pericolosi.

È importante quindi proteggersi in modo efficace, usando intanto il buon senso, come evitare luoghi isolati o orari insoliti, ed evitare anche, nei limiti del possibile, di diventare prevedibili nei propri spostamenti. Ovviamente questo va a incidere sulla libertà personale e ad aggiungere disagio al disagio.

Un punto centrale resta comunque il nostro comportamento che deve scoraggiare lo stalker, in modo chiaro e deciso, in particolare quando questi voglia iniziare o riprendere una relazione, il rifiuto deve essere fermo, senza giri di parole o ambiguità che possono essere prese dallo stalker come un interesse nei suoi confronti e andare a rafforzare il suo comportamento.

Un altro modo di agire importante che una vittima in preda all’ansia e alla paura può scordare è quello di avere sempre delle prove tangibili delle molestie subìte, lettere, registrazioni, testimonianze, sono ottimi per aiutare le forze dell’ordine ad applicare la legge.

Lo stalking è un fenomeno che oltre ad essere potenzialmente pericoloso e sfociare in un reato più grave è comunque qualcosa di devastante per una vittima, proprio per gli aspetti di perseveranza, logoramento e soprattutto limitazione della libertà personale, il dolore tuttavia è da entrambe le parti, non solo per chi subisce. Il primo passo da compiere è sempre quello di riconoscere il problema e rivolgersi alle forze dell’ordine e alle associazioni che possono aiutare chi vi è coinvolto.

Nel caso in cui vogliate suggerirci un argomento da affrontare o esporci una vostra problematica o preoccupazione scriveteci a studiopsicologicoilcammino@gmail.com e noi vi risponderemo o pubblicando la lettera in forma anonima o affrontando la tematica da voi richiesta.

Elena Nencini