
"Papa Francesco, nella Bolla di indizione del Giubileo straordinario della Misericordia ha rivolto un invito affinché «la Quaresima di questo Anno Giubilare sia vissuta più intensamente come momento forte per celebrare e sperimentare la misericordia di Dio» (Misericordiae vultus, 17). È un invito che ha ripreso nel Messaggio per la Quaresima di questo anno, ribadendo che «la Quaresima di questo Anno Giubilare è un tempo favorevole per poter finalmente uscire dalla propria alienazione esistenziale grazie all’ascolto della Parola e alle opere di misericordia» (Messaggio per la Quaresima, 3).
La condizione di alienazione esistenziale viene descritta con efficacia in queste parole del Papa: «Il povero più misero si rivela essere colui che non accetta di riconoscersi tale. Crede di essere ricco, ma è in realtà il più povero tra i poveri. Egli è tale perché schiavo del peccato, che lo spinge ad utilizzare ricchezza e potere non per servire Dio e gli altri, ma per soffocare in sé la profonda consapevolezza di essere anch’egli null’altro che un povero mendicante. E tanto maggiore è il potere e la ricchezza a sua disposizione, tanto maggiore può diventare quest’accecamento menzognero.[…] E quest’accecamento si accompagna ad un superbo delirio di onnipotenza, in cui risuona sinistramente quel demoniaco “sarete come Dio” (Gen 3,5) che è la radice di ogni peccato. Tale delirio può assumere anche forme sociali e politiche, come hanno mostrato i totalitarismi del XX secolo, e come mostrano oggi le ideologie del pensiero unico e della tecnoscienza, che pretendono di rendere Dio irrilevante e di ridurre l’uomo a massa da strumentalizzare. E possono attualmente mostrarlo anche le strutture di peccato collegate ad un modello di falso sviluppo fondato sull’idolatria del denaro, che rende indifferenti al destino dei poveri le persone e le società più ricche, che chiudono loro le porte, rifiutandosi persino di vederli» (Messaggio per la Quaresima 2016, 3).
Vivere la Quaresima richiede dunque anzitutto diventare consapevoli del nostro peccato come allontanamento da Dio, come opposizione a lui, come sostituzione di lui, e nel contempo riconoscere la sua fedeltà oltre ogni nostro tradimento. A questo ci hanno richiamato le parole del profeta Gioele: «Ritornate a me con tutto il cuore… Ritornate al Signore, vostro Dio, perché egli è misericordioso e pietoso, lento all’ira, di grande amore, pronto a ravvedersi riguardo al male» (Gl 2,13). Sono parole che invitano a essere maggiormente coscienti della nostra condizione di creature umane. Se convertirsi è un “ritorno”, ciò significa che le nostre radici sono altrove rispetto a dove ci ha portato a collocarci il nostro peccato. Peccare non è semplicemente trasgredire una legge, ma uscire dal luogo in cui è posta la nostra identità. Convertirci sarà allora abbandonare la verità che ci siamo costruiti su noi stessi e riscoprire invece quella che Dio ha seminato da sempre nella nostra vita. È questo un problema personale e al tempo stesso sociale, in quanto la perdita della coscienza della propria origine affligge l’uomo contemporaneo tanto sul piano della persona quanto su quello dei legami sociali e delle scelte che la società va assumendo, sia negli assetti economici sia nelle forme legislative a cui affida la propria coesione e il proprio futuro.
Di qui l’importanza del primo invito che il Papa fa in questa Quaresima, quello con cui richiama alla centralità dell’ascolto orante della parola di Dio. Non mi soffermo ora sulle varie modalità che può e deve assumere questo ascolto, ma non posso dimenticare che nella nostra diocesi siamo invitati a vivere nei prossimi tre giorni un itinerario di “esercizi spirituali nel quotidiano”, per i quali è stato approntato un apposito sussidio, come pure ci viene suggerito di vivere in ogni giorno della Quaresima un momento di meditazione e preghiera personale, avvalendosi dei testi divulgati tramite il sito della diocesi sotto il titolo “la gioia del perdono”.
Insisto invece sul contenuto di questa confronto con la Parola, come fa lo stesso Papa nel suo Messaggio. Egli ci ricorda che al centro delle parola di Dio, e quindi del suo annuncio, c’è la rivelazione della misericordia divina, che giunge al suo vertice nella persona di Gesù Cristo: «Il mistero della misericordia divina si svela nel corso della storia dell’alleanza tra Dio e il suo popolo Israele. Dio, infatti, si mostra sempre ricco di misericordia, pronto in ogni circostanza a riversare sul suo popolo una tenerezza e una compassione viscerali, soprattutto nei momenti più drammatici quando l’infedeltà spezza il legame del Patto e l’alleanza richiede di essere ratificata in modo più stabile nella giustizia e nella verità. Siamo qui di fronte ad un vero e proprio dramma d’amore […].Questo dramma d’amore raggiunge il suo vertice nel Figlio fatto uomo. In lui Dio riversa la sua misericordia senza limiti fino al punto da farne la “Misericordia incarnata” (Misericordiae vultus, 8)» (Messaggio per la Quaresima, 2).
Del mistero della misericordia che si rivela e si attua nella persona di Gesù, ci ha parlato nella seconda lettura l’apostolo Paolo. Il suo invito a lasciarci riconciliare con Dio è infatti motivato così: «Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio» (2Cor 5,21). Restiamo colmi di stupore e gratitudine di fronte al grande mistero d’amore che è la misericordia di Dio, il quale per riconciliare a sé il mondo giunge al dono del suo Figlio, un dono che si spinge fino a condividere le conseguenze della condizione di peccato dell’uomo, senza sottrarsi all’ultima di queste conseguenze, la morte.
C’è da chiedersi se davvero siamo consapevoli di quanto alternativo e contestativo sia l’annuncio cristiano rispetto al modo di pensare prevalente nel mondo. Mentre la cultura dominante affida l’idea di pienezza di significato e di realizzazione della vita al conseguimento di livelli alti di benessere, di possesso, di autonomia, di affermazione di sé, il progetto di Dio che si fa storia in Gesù Cristo pone al centro l’annientamento di sé, la perdita di tutto, la sottomissione a tutti in una condizione di schiavitù, con cui il dono si fa totale al prezzo dell’entrare nelle tenebre della morte. È la stoltezza della croce. Così la definisce l’apostolo Paolo scrivendo ai cristiani di Corinto «È piaciuto a Dio salvare i credenti con la stoltezza della predicazione. Mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, noi invece annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio. Infatti ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini» (1Cor 1,21-25).
Non ci deve meravigliare pertanto se l’annuncio cristiano, in particolare l’immagine di umanità che da esso consegue, trovi ostacoli nel mondo. Dovrebbe meravigliarci e preoccuparci il contrario. Questa condizione di «segno di contraddizione» (Lc 2,34) accompagna Gesù fin dalla sua nascita e deve accompagnare l’esistenza di chi vuole esserne coerente testimone. Né ci deve meravigliare il richiamo ripetuto del Santo Padre a vivere la misericordia come condivisione delle situazioni di sofferenza umiliazione degli uomini e delle donne nel mondo. La novità della visione cristiana dell’uomo e del mondo si misura nelle sue periferie.
Si inserisce qui il richiamo di Papa Francesco a impegnarci nella Quaresima a farci vicini ai fratelli e alle sorelle mediante l’esercizio delle opere di misericordia materiale e spirituale: «Esse – scrive il Papa nel Messaggio per la Quaresima – ci ricordano che la nostra fede si traduce in atti concreti e quotidiani, destinati ad aiutare il nostro prossimo nel corpo e nello spirito e sui quali saremo giudicati: nutrirlo, visitarlo, confortarlo, educarlo. Perciò ho auspicato “che il popolo cristiano rifletta durante il Giubileo sulle opere di misericordia corporali e spirituali. Sarà un modo per risvegliare la nostra coscienza spesso assopita davanti al dramma della povertà e per entrare sempre più nel cuore del Vangelo, dove i poveri sono i privilegiati della misericordia divina” (Misericordiae vultus, 15). Nel povero, infatti, la carne di Cristo “diventa di nuovo visibile come corpo martoriato, piagato, flagellato, denutrito, in fuga... per essere da noi riconosciuto, toccato e assistito con cura” (ibid.)» (Messaggio per la Quaresima 2016, 3).
Tra le varie opere di misericordia ricordo che la Caritas diocesana attira la nostra attenzione sul bisogno alimentare di tanti poveri tra noi e chiede un particolare impegno in questa Quaresima in tale ambito, sia nel sostegno alle mense dei poveri, promosse dalla stessa Caritas, da Misericordie, da parrocchie o altre realtà ecclesiali, sia nelle altre forme con cui si cerca di essere vicini alle necessità di cibo delle famiglie disagiate presenti nel nostro territorio.
Mi preme anche ricordare che in questi giorni viene diffuso un “Sussidio diocesano” per vivere meglio l’Anno Santo. In esso si trovano importanti spunti di riflessione sul senso del Giubileo, sulle opere di misericordia spirituali e corporali, su figure di uomini e donne che illuminano la storia della misericordia nella nostra città, come pure su luoghi in cui la carità misericordiosa si è inserita con forme di bellezza nel tessuto cittadino, infine su come oggi si esprime l’esperienza della carità tra noi; si aggiunge un possibile itinerario di pellegrinaggio giubilare con materiale di meditazione e di preghiera per ogni tappa; a conclusione indicazioni su come la misericordia è compresa nelle altre confessioni cristiane e in altre tradizioni religiose. Invito tutti a valorizzare questo strumento, come un utile riferimento per vivere bene il Giubileo nel nostro contesto locale.
Concludo con le parole di ammonizione con cui il Papa chiude il suo Messaggio queresimale: «Resta sempre il pericolo che, a causa di una sempre più ermetica chiusura a Cristo, che nel povero continua a bussare alla porta del loro cuore, i superbi, i ricchi ed i potenti finiscano per condannarsi da sé a sprofondare in quell’eterno abisso di solitudine che è l’inferno. Ecco perciò nuovamente risuonare per loro, come per tutti noi, le accorate parole di Abramo: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro” (Lc 16,29). Quest’ascolto operoso ci preparerà nel modo migliore a festeggiare la definitiva vittoria sul peccato e sulla morte dello Sposo ormai risorto, che desidera purificare la sua promessa Sposa, nell’attesa della sua venuta» (Messaggio per la Quaresima 2016, 3).
Giuseppe card. Betori. Arcivescovo di Firenze
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