#PrayforParis, Giusy Ragosa racconta la sua esperienza: "Bisogna riflettere, non fare come se niente fosse"

Una foto di Giusy Ragosa a Parigi poche ore dopo gli attentati del 13 novembre 2015

A quasi una settimana dagli attacchi di Parigi del 13 novembre 2015, gonews.it continua a ricevere testimonianze da toscani all'estero che hanno vissuto i fatti in prima persona. Pubblichiamo oggi, giovedì 19 novembre, la lettera che ha inviato Gisuy Ragosa, di Santa Maria a Monte: era stata intervistata anche dalla nostra rubrica 'Toscani in giro' a fine agosto. Ecco le sue parole.

"Da dove comincio?
Comincio con il giustificarmi per essermene sbattuta per 12 anni della mia vita dei disastri internazionali che succedevano nel mondo, per la mia giovane cecità occidentale? Per il fatto, che mentre in Iraq, Iran o Libano le persone della mia età speravano di non morire, io speravo di trovare casa in centro a Parigi e piangevo per pene d’amore? Anzi, forse dovrei cominciare per chiedere scusa del fatto che l’unico modo che ho di reagire oggi è quello di mettermi una bandiera francese sul selfie della pagina fb. O forse dovrei prima vergognarmi del razzismo e dei cliché che m’invadono la testa e che moltiplicano l’odio.

Sicuro comincio da me, da buona occidentale, dico IO - MOI, prima di tutto e tutti. Io che cosa sento, io che cosa voglio e gli altri si vedrà. Ed è questa filosofia che crea il canto delle sirene. Sirene che da quattro giorni non smettono di urlare terrore, nella bella capitale del savoir vivre à la français.
Vi spiego cosa è successo. Sempre partendo da me bien entendu.
“Mamma come va? Mi passi quel ciucco del mi fratello? Dai ora attacco che comincia il concerto!”

A fine concerto, guardo una delle mie principali fonti di angoscia: il cellulare. Un amico da New York, mi chiede”Dove sei? Che succede? Come stai?”. E da lì la valanga di chiamate, sms, mms, whatsapp, il bombardamento telematico, per rassicurare tutti. A Parigi, forse non lo si sa ma ci sono spesso sparatorie e reglement de comptes. Forse non è cosi allarmante! Poi l’angoscia di chi sapeva che ero andata ad un concerto. Con un Uber, evitiamo il centro e torniamo a casa.
Charonne: Questo quartiere è quello in cui i giovani con contratto a tempo indeterminato, vanno a sfogare l’ansia delle pressioni di un lavoro che li bombarda di stress, io compresa ci vado. L’ebbrezza tra il primo e il secondo bicchiere, mentre parli del tuo capo ti fa pensare: com’è bella la vita. E questa bellezza me la posso permettere. Ma, quanto sono brava. E in quei momenti esisto solo io. Perché non ordiniamo dei formaggi?

E poi lo stato di emergenza, che non vorrei chiamarla guerra, perché alle medie a Montopoli, mi hanno insegnato che la guerra è finita nel 1945 e siccome c’erano diversi paragrafi nel libro che descrivevano molte zozzerie umane, io pensavo e penso che questi sbagli non li avremmo ripetuti.

Una volta che i media, ci hanno fatto capire che eravamo attaccati dai brutti cattivi e che questi avevano mirato al cuore forte e frivolo della capitale dell’amour, arriva la desolazione. Per me il grande scompenso. Gli amici stanno tutti bene, gli amici di amici no. E la grande domanda che genera terrore: E se fossi morta io?

Poi parla Hollande, che tiene unito il paese dicendo che ci hanno attaccato per i valori che rappresentiamo, noi, noi, noi, noi. E io mi chiedo: ma noi chi? Hollande parla ai francesi e lo ascolto da italiana. C’ero cascata a gennaio, quei valori li sentivo miei, ma ad oggi non più. Non credo in un uguaglianza, che permette a giovani francesi di avere lo spirito tanto vuoto da affiliarsi allo Stato Islamico. Non credo in un’ipocrita fraternità, io amici arabi o di colore non ne ho e i francesi del mio stesso livello sociale, neanche. Sono gli altri e non ci mescoliamo e non è perché vado a mangiare il cous cous il giovedì che siamo tutti integrati. Non credo più alla libertà, adesso libera di restarmene a casa, sola, senza armi.

La domenica: Amore dove sei? - A Charonne. A Charonne? Ma che ci fai? Si perché io amo una di quelle persone che ha deciso di far rivivere quelle strade bagnate di sangue. Che faccio lo raggiungo? Io ho paura. Non vorrei privare il mondo di me, non tanto per me, ma per il mondo. Penso che ne sarebbe dispiaciuto. Giusy, sei una cacasotto, ecco cosa sei, dov’è quella Giusy che occupava il Liceo a San Miniato contro le riforme Gelmini. Si, pero’ all’epoca non c’erano Kalashnikov di mezzo. La vita continua e i terroristi vogliono il tuo terrore. Contro ogni mia voglia vado verso Charonne e mi ritrovo alle 19h30 a 600 m dal mio ragazzo, a partecipare alla maratona del terrore. Gli allarmismi, le persone cominciano a correre au rebours, anche le macchine vanno a marcia indietro. Il tempo di sgranare gli occhi e uno mi urla: mettiti a correre stanno sparando.
Samy Amimour viveva in periferia, dai giornali si legge che i suoi genitori non si occupavano tanto di lui e che pregava di nascosto, perché i suoi genitori non erano credenti, ha lavorato per l’agenzia di autobus parigina come conducente, 2 anni fa è partito in Siria, nel giornale si legge, che finalmente li faceva quello che gli piaceva fare. Resterà nella storia come uno dei responsabili degli attentati del 13 novembre.

Non vorrei mettere giudizi in queste parole, ma giudicare è quello che sappiamo fare meglio. Che senso ha andare a fare l’aperitivo a Charonne due giorni dopo l’attentato? La vita continua, certo, ma io una lezione l’ho avuta: fermati e rifletti, smetti di fare come se niente fosse. Per elaborare un lutto ci vuole tempo. Sento che all’internazionale il messaggio è: I francesi non hanno paura. Hollande semina parole di forza e di fierezza, ma non siamo ai tempi delle crociate. Io ho paura, ma non dei terroristi, ma della miseria dello spirito umano. Ho paura di me e di quello che potrei fare agli altri e al mondo. Non è bevendoci su che passerà. Sappiate che i francesi hanno paura. Ma sono anche tanto incoscienti, sembra quasi che siano entusiasmati di vivere un momento storico di rilevanza, sembrano affrontare la cosa con romanticismo alla Ernest Hemingway.

Il secondo giorno che arrivai in Francia la mia professoressa di francese mi disse: Lo sapete perché l’animale che rappresenta la Francia è il gallo? No - Perché è l’unico animale che anche se sta con i piedi nella merda, tiene alta la testa e continua a cantare. Vorrei esprimere il meno possibile, giudizi, ma questo gallo non ha niente da dire su i nuovi attacchi in Siria, si parla di manipolazione del popolo, di una paura che spinge il popolo più lamentoso del mondo a chiudere il becco. Io riesco a dirmi una sola cosa, dopo aver passato un infanzia da sogno e una vita a rincorrere passioni: Giusy, benvenuta nella vita vera".

Giusy Ragosa

Notizie correlate



Tutte le notizie di Santa Maria a Monte

<< Indietro

torna a inizio pagina