
In alcuni casi, l’incapacità di esprimere una propria emozione, soprattutto se si parla d’amore, è strettamente influenzata dalla paura e da una mancanza di coraggio. A volte, però, essa è la manifestazione di una patologia che impedisce all’uomo di verbalizzare il proprio vissuto emotivo. L’alessitimia (o alexitimia) raggruppa un insieme di deficit della competenza emozionale ed emotiva, mostrato dall’incapacità di percepire, riconoscere, mentalizzare (pensare ai sentimenti) e descrivere verbalmente i propri e gli stati altrui. Il termine “alessitimia” deriva dal greco“a”, per mancanza,“lexis”, per parola e “thymos”, per emozione; letteralmente “man-canza di parole per le emozioni”, ed indica una sorta di “analfabetismo emozio-nale”. Attualmente viene definita anche come possibile deficit della funzione riflessiva del sé. La persona che presenta sintomi di alessitimia non è in grado di esprimere le proprie emozioni e di empatizzare con gli altri, inoltre, non sa discriminare le proprie emozioni. La capacità di dare un nome ai propri sentimenti viene meno in quanto le persone affette non hanno sviluppato una capacità simbolica tale da saper utilizzare le parole rappresentative di un sentimento. Il parlare spesso viene sostituito con l’azione fisica diretta data, a volte, dalla scarsa disposizione a provare emozioni positive come la gioia, felicità ed amore. L’emozione vissuta per via somatica e senza elaborazione mentale, non viene concettualizzata. Questa incapacità diesternare l’emotività,fa si che le espressioni facciali, di conseguenza, si presentano rigide e povere, spesso viene così utilizzata un’imitazione sociale. È raro, se non impossibile, che l’alessitimico senta il bisogno di chiedere conforto ad una persona esterna in quanto vi è una difficoltà nel comunicare il proprio disagio emotivo. L’empatia rappresenta un limite negli alessitimici, in quanto non è sviluppata abbastanza, impedendo la costituzione di rapporti di intimità. Gli alessitimici non sono persone empatiche, piuttosto disinteressate alla sofferenza, al vissuto emotivodi una persona
Alessitimia e relazioni affettive.
L’alessitimico tende a non riconoscere i sentimenti dell’altro (anche se dichiara di riuscirci), esattamente come non riesce a decodificare i propri, e, quindi, causare grande sofferenza e inutili e angosciosi "inseguimenti" sentimentali. All’inizio di una relazione chi soffre di questo disturbo è capace di grandi slanci, ma anche di improvvise quanto immotivate sparizioni, poi giustificate con una non meglio precisato stato di "crisi", di indecisione, ecc.
Chi ha introdotto questo termine?
Il termine alessitimia fu introdotto da Nemiah e Sifneos negli anni ’70 per indicare un disturbo affettivo-cognitivo riscontrato in soggetti che soffrivano di una particolarità: non avevano parole per le emozioni, per dar nome ai propri stati affettivi. I due studiosi coniarono questo termine per indicare un disturbo delle funzioni affettive e simboliche che spesso rende sterile e incolore lo stile comunicativo dei pazienti psicosomatici.
Come si manifesta l’alessitimia?
- Difficoltà a identificare, descrivere e interpretare i propri e gli altrui sentimenti;
- Difficoltà a distinguere gli stati emotivi dalle percezioni fisiologiche;
- Difficoltà a individuare quali siano le cause che determinano le proprie emozioni;
- Difficoltà a utilizzare il linguaggio come strumento per esprimere i sentimenti, con conseguente tendenza a sostituire la parola con l’azione fisica.
Tra le varie definizioni possibili, l’alessitimia può essere considerata un deficit della funzione riflessiva del Sé per la mancanza di consapevolezza emotiva che la caratterizza (Kout H. 1982, 2003). I soggetti che ne soffrono tendono al conformismo sociale e generalmente stabiliscono relazioni di forte dipendenza o, viceversa, preferiscono l’isolamento.
Possibile cause?
Se durante il corso del suo sviluppo, il bambino, non riesce ad instaurare una soddisfacente regolazione affettiva, le ripercussioni sia sulla mente che sul corpo possono essere gravi. In particolare modo può verificarsi una dissociazione tra due livelli: quello fisiologico e quello cognitivo-esperienziale, le persone hanno difficoltà a riconoscere le proprie emozioni, e di conseguenza non riescono a comunicarle a livello verbale e così facendo non possono avvalersi degli altri quando ne hanno bisogno (per paura, o chiedere aiuto) o semplicemente per comunicare il proprio stato d'animo (gioia,tristezza...). Se con l’attaccamento non si è sviluppato quella “ base sicura ” indispensabile per il bambino, non si è neppure formato l’oggetto interno rassicurante, la madre, il genitore il caregiver che lo accudisce e senza il quale rischia di andare in pezzi. La mente è intrinsecamente relazionale e le funzioni del cervello vengono costruite e modellate nell'interazione, nel rapporto con gli altri, in modo che “i rapporti interpersonali facilitano o inibiscono la tendenza integrativa del cervello nei primi anni di vita danno un contributo fondamentale nel plasmare le strutture di base»(Cartacci, 2006). Se però questo non avviene i bambini hanno difficoltà ad acquisire quelle competenze che permettono di valutare il proprio mondo emotivo e a usarlo per inserirsi nel mondo sociale, così come a comprendere le emozioni degli altri e a empatizzare con loro. Ad oggi è possibile affermare che chi soffre di alessitimia non ha solo una compromissione dell'espressione verbale delle emozioni, ma anche di quelle non verbali, in quanto non é in grado di manifestare segnali di sofferenza agli altri, non suscitando quindi simpatia o solidarietà (Pally 2009). Un ulteriore aspetto da sottolineare è che tra le componenti scatenanti dell’alessitimia, il trauma, sembra essere un fattore predittivo. Trauma sia precoce, avvenuto cioè in età infantile, sia avvenuto successivamente, nell’età adulta (catastrofi, guerre). È anche vero che alle volte l’alessitimia non appare come il risultato di eventi traumatici, ma piuttosto di uno stile emotivo familiare, di una modalità espressiva, tant'é che se un genitore si mostra emotivamente positivo nei confronti del figlio, questo può favorevolmente incidere e proteggerlo da un possibile sviluppo dell’alessitimia, anche se ha subito maltrattamenti o abusi dall’altro genitore.
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Chiara Paoli