La mia estate a insegnare basket negli slums keniani

mario ferradini
Mario Ferradini con un bambino kenyano

Si chiama mal d'Africa ed è una malattia dell'anima che si manifesta al momento di tornare a casa da un viaggio in quel continente con un sintomo ben preciso: la voglia di tornarci quanto prima. Mario Ferradini ne è rimasto contagiato nel 2011 dopo un viaggio in Kenya e per altre due volte c'è tornato, l'ultima questa estate a Nairobi. E così, mentre molti connazionali sbarcati con lui, hanno scelto il Kenya turistico, quello delle spiagge, dei drink sul mare, quello reso famoso da Briatore, lui ha trovato alloggio in una stanza di un ospedale messa a disposizione da una onlus ed ha trascorso una ventina di giorni a fare quello che fa ormai da molti anni, ovvero insegnare pallacanestro. Lo ha fatto nella baraccopoli di Nairobi, lo slum, ovviamente in modo volontario e avendo in cambio solo la grande soddisfazione, la gioia, di aver aiutato un bambino a divertirsi con un pallone da basket. Insomma, ripagato con la felicità e con un sorriso

Sono andato in Kenya per la terza volta - racconta Mario - quest'anno con l'associazione World Friends nell'ambito del progetto 'slum dank' che punta ad insegnare basket nelle baraccopoli ai bambini. L'associazione è nata da due giocatori, Bruno Cerella e Tommaso Marino che seguono i progetti e forniscono palloni, magliette e scarpe a bambini e bambine dai 16 anni in giù

Come eri sistemato a Nairobi?
Alloggiavo nella guest house di un ospedale, la mattina andavo al campo o con qualche mezzo della struttura oppure con i Piki Piki, motorini adibiti a taxi molto diffusi in Kenya. E al pomeriggio ancora basket coi ragazzi

Ti sei trovato subito bene con loro?
All'inizio c'è statio un periodo, diciamo così, di studio, poi si è creato un clima di grande fiducia, un legame affettivo. Mi chiamavano tutti Mario e vi assicuro che alla fine separarsi da loro non è stato facile, così come non è facile ora ripensare ai tanti momenti trascorsi insieme

C'erano anche ragazzini bravi con la palla a spicchi?
Sì, uno in particolare. Si chiama Jawan ed è stato preso nella selezione Under 13 di Nairobi. Un bambino che viene dal Mathare slum, il più grande della città, che va a fare un provino e viene preso è una cosa strana, non usuale. Per questo averlo portato io a fare questa selezione è stata una bella soddisfazione

Che Kenya hai visto in questi slums?
Ho visto quello che spesso si sente dire e non sono cose piacevoli. Ho potuto ad esempio vedere la discarica di Dandora, la più grande della città, una vera e propria collina, dove adulti e bambini rovistano nei rifiuti. A noi sembra strano, ma quella è una delle fonti di sostentamento per moltissime persone che li trovano cose da riciclare o anche da mangiare. Purtroppo non è un bellissimo spettacolo

Mai avuto paura?
No, ma abbiamo sempre girato accompagnati e ci consigliavano di toglierci orologio e zainetto. Lì purtroppo c'è molta miseria e quindi si è esposti a dei rischi facili da intuire. Negli slums, poi, ci consiglavano di non andare mai da soli e addirittura di non avvicinarsi quando è buio

Hai trovato altri italiani a fare volontariato?
Sì, molti come me per un periodo, altri che sono dei veri e propri missionari. Tanti sono religiosi, persone che definirei degli eroi silenziosi. Nessuno li conosce, nessuno sa di loro ma è gente che qui aveva la propria vita e che è andata laggiù a rischiarla per aiutare le persone, per combattere anche nel senso fisico della parola contro spacciatori o altri delinquenti. Un prete, invece, andava nei posti più dispersi della savana a prendere le donne per portarle a partorire negli ospedali dando così ai nascituri una speranza di vita visto che la mortalità infantile è purtroppo altissima

Quando riparti?
Appena posso
Ecco il mal d'Africa, appunto....

Marco Mainardi

Tutte le notizie di GoBlog