Il 9 giugno 1985, il leggendario centro dei Los Angeles Lakers guidò i compagni alla prima vittoria sui tradizionali rivali dei Boston Celtics
La principale rivalità degli sport professionistici americani oppone da quasi cinquant’anni i Boston Celtics ai Los Angeles Lakers. Fino alla metà degli anni ’80, i primi dominarono incontrastati, infliggendo ai californiani ben 8 sconfitte consecutive nelle finali NBA, un ruolino di marcia che fa addirittura sembrare dignitose le sei finali di Champions League perse dalla Juventus.
La svolta, per i giallo-viola, cadde giusto trent’anni orsono, quando finalmente si aggiudicarono il titolo contro i bianco-verdi del Massachusetts. Eppure, la serie era cominciata con un roboante vittoria di Boston, che sotterrò gli avversari sotto il pesantissimo passivo di 148-114, passato alla storia come il “Massacro del Memorial Day”. Soprattutto il gregario Scott Wedman e la guardia Danny Ainge contribuirono al successo, le cui dimensioni epocali dipesero in effetti anche dall’insufficiente rendimento di Kareem Abdul Jabbar e Magic Johnson: nel dopo-gara, il primo si recò da ciascuno dei compagni per scusarsi dell’orrenda prestazione, mentre il secondo vide materializzarsi i fantasmi della sconfitta dell’anno precedente, di cui portava la principale responsabilità per gli errori clamorosi che aveva commesso in gara-2 e gara-4 e che gli meritarono l’umiliante appellativo di Tragic Johnson.
Il riscatto cominciò dalla seconda partita. Il 38enne Jabbar giocò come un ragazzino, segnando 30 punti, con 17 rimbalzi, otto assist e tre stoppate, e gli ospiti prevalsero per 109-102. Il terzo incontro fu una facile vittoria per LA, che trionfò per 136-111: il centro occhialuto iscrisse a referto 14 rimbalzi e 29 punti, divenendo il primatista di punti nella storia dei playoff, record che gli avrebbe poi sottratto Michael Jordan. Nella quarta partita, i Celtics dettero fondo a tutte le proprie risorse mentali, violando il Forum grazie a un tiro allo scadere del playmaker Dennis Johnson. L’ultimo confronto in California, se lo aggiudicarono ancora i Lakers per 120-111, portandosi sul 3-2 e facendo rotta verso Est per le ultime partite della serie. Come altre volte nel passato sarebbe bastata una sola piccola vittoria in più, ma bisognava ottenerla sul temibile parquet incrociato del Boston Garden, dove l’intera galleria delle più fulgide stelle dei Lakers si erano sempre inchinate alla spietata legge del Celtic Pride.
Il 9 giugno 1985, il Gm Jerry West decise di non seguire la squadra in trasferta. Lui che in passato non era mai riuscito a superare i Celtics pensò, in tal modo, di sgravare i giocatori di un pesante fardello psicologico. Il primo tempo si concluse sul 55-55, con Jabbar a lungo in panchina per problemi di falli. I bianco-verdi, con soli sette uomini attivi, erano però nella morsa della stanchezza e Pat Riley, il coach californiano, ordinò ai suoi di correre a perdifiato. Nella ripresa, Big Fella impose la sua legge e siglò 18 punti, per 29 totali: a un certo punto, gettò i suoi 218 cm lunghi e distesi alla spasmodica ricerca di una palla vagante. Magic aggiunse una classica tripla-doppia, con 14 punti, 14 assist e 10 rimbalzi, mentre James Worthy restò in campo per ben 45 minuti e finì con 28 punti. La soffocante difesa di Michael Cooper costrinse Larry Bird a una mediocre prestazione e il Boston Garden piombò nel silenzio: con il punteggio di 111-100, i Lakers costrinsero per la prima volta i focosi tifosi bostoniani ad assistere al trionfo di un quintetto corsaro.
I Lakers ottennero finalmente il riscatto tanto atteso, grazie al loro vetusto capitano. Jabbar divenne il giocatore più anziano a fregiarsi del riconoscimento di MVP delle finali. Commentò Riley: «Kareem sfida la logica. È l’atleta più unico e longevo del nostro tempo, il migliore che abbiate mai visto. Farete meglio a godervelo finché resta in giro».
Paolo Bruschi