Barcellona-Juventus, dal passato un incoraggiamento per i bianconeri

Tradizionalmente poco autorevole in Europa, la Vecchia Signora potrebbe approfittare della sicumera dei catalani


Le finali le perde solo chi le gioca, si ripetono da cinquant’anni esatti i tifosi della Juventus, per lenire le molte delusioni in cui la loro squadra incappa appena mette il naso fuori dai patri confini. Fu nel giugno del 1965, contro gli ungheresi del Ferencvaros, in una partita secca disputata a Torino, che i bianconeri disputarono e persero la loro prima finale di una competizione europea. Si trattava della Coppa delle Fiere, genitrice della successiva Coppa UEFA e antenata dell’attuale Europa League, ma fu subito chiaro che per la Vecchia Signora la strada in Europa sarebbe stata in salita, assai più irta di insuccessi degli orizzonti di gloria del campionato italiano.

Come uno studente ben preparato e di buona famiglia (perciò sopravvalutato e indebitamente agevolato, chiosano i maligni) che regolarmente scontenta i professori in occasione degli esami più importanti, la Juventus ha abituato i suoi sostenitori a prestazioni assai inferiori alle attese sui palcoscenici internazionali. L’inadeguatezza è particolarmente eclatante, e dolorosa per le nutrite falangi di supporter bianconeri, quando si tratta di Coppa dei Campioni, o Champions League che dir si voglia: fra i cosiddetti top-team continentali, quelli che progettano di abbandonare la plebea compagnia di Chievo, Luton Town o Malaga per dar vita a una super-lega sul modello della NBA, la Juventus è la sola – con il Benfica – a vantare un bilancio nettamente negativo nelle finali del maggior torneo per squadre di club, con sole due vittorie e ben cinque sconfitte. Poiché il primo successo arrivò nella tragica notte dell’Heysel, al termine di una partita disputata per ragioni di ordine pubblico e “attribuita” ai torinesi per gli stessi motivi in virtù di un rigore inesistente, e il secondo, benché conseguito meritatamente ai danni dell’Ajax nel 1996, venne solo dopo i rigori, si capisce bene come sulle mire europee della Juventus aleggi un’invincibile maledizione. Anatema che si è palesato soprattutto in occasione della “fatal Atene” del 1983 e del mancato trittico della squadra allenata da Marcello Lippi.

La Juventus sconfitta dall'Amburgo

La Juventus sconfitta dall'Amburgo

Il 25 maggio 1983, dieci anni esatti dopo la prima finale perduta contro l’Ajax stellare di Cruijff e Neeskens, quasi cinquantamila italiani invasero la capitale greca per assistere all’inevitabile trionfo della corazzata di Giovanni Trapattoni, giunta all’atto conclusivo della manifestazione dopo un cammino a dir poco autorevole, soprattutto se paragonato agli abituali rovesci, e comprensivo di una convincente vittoria in casa dell’Aston Villa, detentrice del trofeo. La vittima sacrificale avrebbe dovuto essere l’Amburgo del guru austriaco Ernst Happel, che peraltro aveva già impallinato i bianconeri nella semifinale del 1978. Come andò, è tristemente noto. Forte di sei freschi campioni del mondo e potenziata da Roi Michel Platini e dal “bello di notte” Zbigniew Boniek, la Juventus produsse una prestazione a dir poco abulica e, dopo un precocissimo colpo di testa di Roberto Bettega, sventato in corner da un miracolo del portiere Uli Stein, cedette le armi a una beffarda parabola di Felix Magath, che Dino Zoff poté solo osservare mentre gonfiava la rete. Nei restanti ottanta minuti, il dream team bianconero masticò un calcio tanto insistito quanto asfittico, fino a che l’esasperato Trap si risolse addirittura a sostituire l’inconcludente Paolo Rossi con l’onesto carneade Domenico Marocchino, ovviamente senza costrutto alcuno, vista la serata storta di tutti i suoi fuoriclasse.

Dopo l’eclissi della “generazione spagnola”, la Juventus tornò protagonista ai tempi della sinistra triade Giraudo-Moggi-Bettega. Al netto degli scandali che poi travolsero quella spericolata dirigenza, in Europa i bianconeri dimostrarono di essersi liberati dei consueti freni psicologici: come già detto, Lippi li condusse alla conquista della neonata Champions League nel 1996 e poi a due ulteriori finali consecutive, entrambe affrontate con i favori del pronostico dopo gli entusiasmanti turni di qualificazione ed entrambe smarrite. La prima, a Monaco di Baviera, contro gli esordienti del Borussia Dortmund, infarciti di scarti juventini e del campionato italiano, capaci alla fine di prevalere per 3-1 anche per la cervellotica scelta del tecnico viareggino di lasciare inizialmente in panchina Alex Del Piero, la cui tarda rete di tacco non bastò a riequilibrare le sorti del match; la seconda contro un ancor non galattico Real Madrid, premiato da un gol di rapina di Predrag Mijatović, cui non seppe rispondere l’attacco bianconero formato da Zidane, Inzaghi e Del Piero, che proprio verso la fine di quella partita riportò l’infortunio muscolare che l’avrebbe fortemente penalizzato ai Mondiali di Francia del mese dopo.

Predrag Mijatović segna il gol della vittoria nella finale del 1998

Predrag Mijatović segna il gol della vittoria nella finale del 1998

La funesta regola degli anni "3" si ripeté per l'appunto nel 2003, allorché la finale tutta italiana di Manchester fu appannaggio del Milan di Carlo Ancelotti che superò i torinesi ai rigori, dopo che uno scialbo 0-0 era sopravvissuto ai tempi supplementari.

Per curioso parallelismo, anche le prestazioni del Barcellona in Coppa dei Campioni sono state a lungo inferiori alle aspettative, al blasone, agli investimenti operati e ai successi domestici. Almeno fino a quando non è arrivato Leo Messi: da che “la Pulce” veste la maglia catalana, il Barça ha messo in bacheca tre coppe dai grandi orecchi, inventando e perfezionando il tiki-taka, il parossistico possesso palla, il falso nueve e altri tòpos irrinunciabili del calcio moderno. La prima coppa però era giunta solo nel 1992, grazie a uno striminzito 1-0 nei supplementari contro la Sampdoria di Vialli e Mancini. Prima di allora, i catalani avevano perduto nel 1961 contro il Benfica ancora senza l’astro Eusébio e persino contro la Steaua Bucarest, nella finale del 1986 disputata a Siviglia e nella quale i blaugrana non furono capaci di segnare un solo rigore nel barrage dei tiri dal dischetto. Infine, nel 1994, il Milan di Fabio Capello li umiliò con un dilagante 0-4. Proprio quel precedente turba forse i sonni del tecnico Luis Enrique, poiché anche in quella occasione gli spagnoli erano largamente favoriti come l’allora allenatore Cruijff non mancò di sottolineare, con un po’ più di un filo di arroganza. Inoltre, il Milan dovette rinunciare agli squalificati Baresi e Costacurta (così come domani alla Juventus mancherà Giorgio Chiellini) e persino a Marco Van Basten, che era all’inizio del calvario che l’avrebbe portato ad abbandonare anzitempo l’attività agonistica.

Perciò, gli uomini di Allegri scenderanno in campo a Berlino contro un avversario sulla carta soverchiante e proprio l’inedito ruolo di underdog potrebbe liberarli delle remore mentali che in passato hanno sempre frenato la Juventus, permettendole infine di regalarsi la prima coppa di cui essere pienamente orgogliosa. Del resto, si sa, i pronostici li sbaglia solo chi li fa.

Paolo Bruschi