
Ormai dal giorno della presentazione ci occupiamo della 79^ edizione della Mostra Internazionale dell’Artigianato a Firenze e ogni giorno vi presentiamo le varie realtà presenti in esposizione.
Ma vivere di persona le opere di un artista come Eugenio Taccini dà un senso nuovo alla parola “artigianato”.
Per i pochi che non lo conoscessero ancora, Eugenio Taccini è un ceramista, scultore e pittore che è nato, vive e lavora da oltre un quarantennio a Montelupo Fiorentino. I suoi lavori artistici sono internazionalmente conosciuti e apprezzati: le sue opere sono esposte sia all’estero che in punti significativi della Toscana, con particolare legame al Parco di Collodi e alla sua figura principe: Pinocchio.
Se qualcuno pensa di leggere un’intervista tradizionale si sbaglia. Arrivata con domande preparate, con un percorso da seguire, tutto si è evoluto in una bellissima chiacchierata che ha spaziato dall’amore per la ceramica alla letteratura, il teatro fino a una canzone di Léo Ferré.
Taccini è presente alla Mostra Internazionale dell’Artigianato nell’ambito di un progetto promosso dall’Amministrazione Comunale di Montelupo Fiorentino, che tende a sviluppare una concezione della produzione di ceramica per prodotti di uso comune, in sinergia con lo sviluppo turistico di Montelupo Fiorentino.
Eugenio ci aspetta proprio di fronte ai locali dove sono esposte tantissime produzioni in ceramica, con il suo banco di lavoro dove sta provando i colori su una brocca che prende vita nelle sue mani con una naturalezza sconcertante.
La domanda iniziale è di rito: chiediamo se ci può raccontare la storia di quando ha ritrovato dei pezzi di ceramica a casa del nonno, pur sapendo che l’ha raccontata milioni di volte.
La sua risposta è già indicativa del personaggio: “Questa storia l’è come l’alba: l’è sempre nòva!”. E inizia il racconto. I frammenti che Taccini ha trovato da bambino a casa del nonno erano dei pezzi di arlecchini e lì inizia una storia di vita. All’età di tre anni già andava nella bottega del babbo e quindi la sua vita è sempre stata legata alla ceramica e così è continuata e continua tuttora.
Alla domanda sul significato della ceramica per lui, ci risponde: è la vita.
Inizia una bella riflessione sull’uomo e il lavoro: si è qualcuno finché abbiamo qualcosa da fare, quando siamo in panchina, diventiamo nessuno. Il lavoro per l’uomo è libertà ma soprattutto dignità. La citazione è di Miller e del suicidio del Commesso viaggiatore.
Capiamo subito, se mai ce ne fosse stato bisogno, quanta cultura c’è in questo uomo e allora gli chiediamo se ha altre passioni oltre alla ceramica: le corse in bicicletta, il nuoto, e il ballo in particolare il rock’n’roll e vista la nostra forma fisica odierna non raccogliamo l’invito a fare da partner in un ballo davanti ai mille colori delle sue opere.
Il segreto di un grande arista è proprio nell’umiltà di apprendere sempre e nel carattere. Perché è proprio la cultura insieme al carattere a fare di un uomo, un artista.
Abbiamo parlato di biciclette, ed è proprio questa installazione ad accogliere i visitatori all’ingresso della Fortezza da Basso: “Biciclette”, realizzata per la Festa della Ceramica edizione 2014. Taccini scelse proprio la bicicletta per quest’importante opera in quanto simbolo massimo della libertà dei popoli, mezzo ecologico che dona libertà a chi la usa.
La collaborazione coi ragazzi lo porta a ricordare qualche aneddoto e di come la sua arte lo abbia portato in giro per il mondo a conoscere persone di mentalità e nazionalità diverse e di come lo scambio culturale sia fondamentale per la crescita personale e artistica di un uomo.
Una lezione di vita, dice di averla appresa durante un suo soggiorno in America, dove uno studente alla sua ironica domanda se fossero migliori gli Italiani o i Tedeschi, rispose: le persone per bene.
I suoi racconti spaziano anche attraverso ricordi di vita, come quando conobbe l’eclettico poeta e musicista Léo Ferré e da qui ce lo ricorda cantando la canzone Avec le temps nella versione tradotta da Gino Paoli (Col tempo).
Taccini si emoziona parlando dell’opera a cui è più affezionato: ovvero il Pinocchio che diventa bambino collocato al Centro di Igiene Mentale di Empoli un’opera in cui si rappresenta anche in un certo senso la guarigione.
Da questa bella chiacchierata capiamo anche la sua visione della ceramica come produzione di “essenza” e di “frangia”: la frangia è quello che l’artista fa in serie come opere anche di consumo, l’essenza è ciò che l’artista è attraverso le opere stesse.
Anche Lea, la figlia di Eugenio ha seguito le orme del padre, ma prendendo da lui la passione e la tradizione della ceramica, seguendo un suo personale stile che si discosta da quello del padre.
Taccini inoltre considera interessante tutto il mondo della lavorazione della ceramica: dal metodo tradizionale alle innovazioni tecnologiche applicate alle produzioni, confermando ancora di più la splendida apertura mentale di un artista in continua mutazione, segno di umiltà e grande intelligenza.
- Eugenio Taccini (foto gonews.it)
- Eugenio Taccini (foto gonews.it)
- Eugenio Taccini e Cinzia Cester (foto gonews.it)
- Cinzia Cester (foto gonews.it)
- Le opere di Taccini esposte alla Mostra Internazionale dell’Artigianato a Firenze (foto gonews.it)
- Eugenio Taccini (foto gonews.it)
- Eugenio Taccini
- Le opere di Taccini esposte alla Mostra Internazionale dell’Artigianato a Firenze (foto gonews.it)
- Le opere di Taccini esposte alla Mostra Internazionale dell’Artigianato a Firenze (foto gonews.it)
- Le opere di Taccini esposte alla Mostra Internazionale dell’Artigianato a Firenze (foto gonews.it)
Serena Franceschin