
La democrazia e i suoi istituti vivono da qualche decennio una crisi che ne mina la legittimazione e la capacità di reazione di fronte alle sfide globali: il ruolo dei parlamenti appare sempre più svuotato a favore degli esecutivi; i partiti – anche quelli con maggiore consenso – privati della discussione interna, sono ridotti a macchine elettorali, e hanno perso la loro funzione di strumenti di “collegamento” tra cittadini, territori e sedi decisionali; la personalizzazione e la leaderizzazione sono ormai la dimensione dominante la politica. Tutti elementi che testimoniano una involuzione oligarchica della democrazia che ha allontanato ulteriormente le sedi decisionali dai cittadini.
Negli ultimi venti anni anche in Italia abbiamo conosciuto una mutazione delle forme della politica che ha privilegiato il rapporto diretto tra leader e popolo, a cui anche la sinistra non ha saputo contrappore un modello alternativo, concentrata come era sul suo rapporto con il tema del “governo” e della necessità di “decidere”. Ma è questa la soluzione migliore in grado di non indebolire ulteriormente i diritti dei cittadini e garantire loro una effettiva possibilità di partecipare alle decisioni?
Finora il dibattito sulle forme della partecipazione politica non ha saputo uscire dalla dicotomia tra la riproposizione di modelli del passato e l'invocazione a sbarazzarsi di tutto perché non ve ne sarebbe più bisogno; uno dei motivi per cui il Partito Democratico è nato era ed è proprio quello di rispondere alla crisi della democrazia, riavvicinando la politica ai cittadini, sapendo ricostruire un sistema di rappresentanza in grado di connettere idee, territori, esperienze che andassero al di là del rapporto diretto tra capo e popolo (moderna distorsione del rapporto di rappresentanza che non garantisce partecipazione ma delega in bianco verso un uomo solo al comando).
Sono temi e interrogativi che si fanno ancora più pressanti per la sinistra (la destra della Trilaterale già negli anni ottanta del secolo scorso teorizzava la necessità di indebolire le forme della politica democratica per garantire lo sviluppo), che deve preoccuparsi di garantire benessere e sviluppo in un quadro di effettiva pienezza dei diritti di partecipazione per tutti i cittadini. I partiti del Novecento furono in grado di emancipare intere masse di cittadini e di farle accedere alle decisioni che li riguardavano.
Oggi la sfida rimane la stessa: di fronte alla progressiva oligarchizzazione delle democrazia, la sinistra deve interrogarsi sulle modalità con cui garantire accesso e maggiore democraticità delle decisioni, senza nostalgie passatiste, senza proporre modelli organizzativi ormai superati, facendo i conti con la diffusione dei saperi, le evoluzioni del sistema comunicativo e della rete, ma senza perdere di vista l'importanza di punti di riferimento territoriali e la necessità di costruire comunità connesse tra loro.
Così nasce l'esigenza di organizzare "Sinistra 2.0: serve ancora un partito?". Vi aspettiamo lunedì 30 marzo alle ore 21 presso il Centro Maccarrone di Pisa in via Battisti.
Fonte: Ufficio Stampa
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