Non è un libro di storia, almeno non lo è nel senso che di solito si dà a questa parola. E’ un libro che racconta la storia di una comunità di persone che ha nome Empoli, posto sul fiume Arno nel centro di Toscana, al confluire di un quadrivio che porta ai quattro angoli del mondo allora conosciuto: Firenze, Siena, Pisa e Lucca. E noi nel mezzo, centrifughi, a giocarci i nostri dadi il giovedì, giorno del mercato più importante che ci sia mai stato nel dominio della Dominante, la nobile città di Fiorenza.
E’ nel modo di raccontare che sta la differenza. Ho rimesso insieme tanti racconti, che nel corso dei trentanni ultimi ho seminato su pubblicazioni e riviste, ritoccando qua e là i contenuti, al fine di ottenere quel poco di unità compositiva cara e indispensabile a chi legge. Sono tasselli che si collocano e si cercano, con i rimandi necessari. Da Farinata degli Uberti che trovò la maniera e i modi di salvare Firenze e le sue case che vi stavano proprio al centro, dove ora c’è Palazzo Vecchio,
a Ferruccio Benvenuto Busoni, nato per caso sul Campaccio e subito fuggito al seguito dei genitori musicisti vaganti e stravaganti, per diventare il primo compositore ed esecutore di pianoforte al mondo.
Ventidue personaggi, ventidue storie che ricreano tempi e atmosfere: un sguardo a ritroso, o in avanti, nel tempo. Con qualche sorriso, come quando compare sul canto di piazza dei Leoni Ricciotto, tornato a farsi vivo per una intervista immaginata quanto immaginaria.
Spicca su tutti lo scoop; come in tutti i libri che si rispettino o si facciano rispettare, anche “Empolesi brava gente” ha la sua novità, sconosciuta a tutti, che merita le attenzioni delle genti. Finalmente si saprà chi è stato quel Pietro Domenico Bartoloni, titolare di via alla Cascine empolesi, oltre la Ferrovia: e se ne racconterà quel poco la storiella, in stile da bar, fra il faceto e il mistero da scoprire. In breve fu un impiegato d’alto bordo, intransigente nei conti d’impresa, bravissimo nel districarsi di faccende domestiche, anche quando i personaggi in gioco e padroni erano i Medici, in trasferta da sponsali in terra Boema. Dico di Giangastone e della sua improbabile avventura coniugale con lo scopo di dare alla sua casata ai minimi d’estinzione il sospirato erede. Ma oltre che avvocato e tenitore di partite doppie fu anche poeta, innamorato delle sue terre, con base di nascita e di pensiero al canto alla Corona, in pieno Centro d’Empoli. Ed ecco il suo Ditirambo, il Bacco in Boemia, fatto uscire a Praga nel 1717 in primissima edizione. Per sparire nel nulla, in età avanzata, con il comparire della seconda edizione fiorentina di questo stesso libro, ma ampliata di glosse per più del doppio, per i tipi e i caratteri a stampa di Paperini, lo stampatore granducale. Con dedica questa qui proprio all’antico padrone, Giangastone, finito ad aspettare l’ultimo respiro nelle sue stanze a Pitti, circondato dai suoi ruspanti, ragazzini di facili costumi ben poco costumati. Anno 1736 o come si diceva allora MDCCXXXVI.
E va bene, mi direte, ma perché un libro su Empoli e le sue storie, in un momento dove tutto crolla e i negozi chiudono? Già perché noi empolesi siamo bottegai e commercianti, più usi a disputar coi battilani (operai di fabbriche di lana) che a far clamori di gesta e a menar le spade (cito il dottore in medicina generale Ippolito Neri e il suo Saminiato). Contano da noi i denari e i luoghi disputati a farli girare.
I motivi son tanti, provo ad elencarne alcuni:
Perché me l’ha chiesto con le minacce fisiche e il ricatto un editore di Empoli, anche se triestino, Antonietta Risolo.
Perché queste storie non le sa nessuno o quasi e in un rapido scorrere di pagine ciascuno può colmare i vuoti di memoria e le ignoranze.
Perché il vero protagonista delle storie è il popolo del Castello, che sempre ha subito e sempre subirà i capricci dei potenti, tutto sopportando senza mai reagire. Mi sembrava giusto dirlo e il farlo notare.
Perché mi son divertito e tanto a recuperare i miei vecchi articoli e a farli di nuovo vibrare, accordati a nuove armonie di ballata d’osteria.
Perché spero di farmi perdonare dai miei concittadini tutto il tempo che non ho dedicato a loro e alla mia città, occupandomi d’altro, con un libretto che spero rimarrà nei tempi a venire, come facile guida per districarsi nei ricordi di paese.
Dove una volta c’era tanta brava gente. Oggi un po’ meno, forse; ma con la speranza nel futuro e i piedi fermi nelle nostre storie si può sempre migliorare. Così è, sempre con il vostro permesso e se vi pare.
http://youtu.be/mibPANuGSYA
Fonte: Ufficio Stampa
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