Tragedia e fortuna in scena al teatro Pacini con una prima cena al vetriolo

La prima cena - Teatro Pacini

Al teatro Pacini di Fucecchio il 9 gennaio scorso è andata in scena La prima cena, una produzione del Teatrino dei fondi, scritta da Michele Santeramo e diretta magistralmente da Michele Sinisi.

In uno spazio scenico angusto e limitatissimo, arredato come un vecchio cucinino, sei attori si muovono rappresentando il dramma di una famiglia allo sbando, costretta a riunirsi a un mese dalla morte del capostipite solo per scoprirne l’eredità. Ma per volontà del padre padrone, prima di poter aprire il testamento, due fratelli e una sorella accompagnati dai rispettivi coniugi, saranno  costretti a consumare controvoglia un’ultima cena insieme. I problemi sorgono fin da subito. Il pasto non sarà mai consumato e tra la scoperta di un errore e l’altro, tra detti e non detti, finalmente i parenti serpenti scopriranno invece un’amara verità, volta ancora di più a metterli gli uni contro gli altri. In un ultimo dispotico scherzo, infatti, il defunto genitore ha lasciato loro in eredità solo il suo non amore. E, forse, la fortuna, rappresentata da tre buste piene di gratta e vinci. Un biglietto sparito metterà a dura prova i sei in un crescendo di urla, litigi e violenza espressa e non.

Una serata al vetriolo dove sono portati a galla un groviglio di insanabili problemi. Dove indicibili segreti amareggiano la vita di tutti, chiudendoli in un dolore che ognuno vive a modo suo. Lo spazio scenico angusto costringe gli attori a movimenti rigidi e spigolosi rendendo visivamente ciò che le battute anticipano: il disagio. Un disagio torvo e rappresentativo di una società di affetti degradata, così come ne è rappresentativa anche la guerra sullo sfondo; un conflitto la cui esistenza è intuita solo da una vecchia radiolina ma che non ha nessun impatto sui sei personaggi, incapaci di vedere oltre al proprio naso, o di interessarsi a qualcosa che non siano loro stessi.

Una commedia/dramma con al centro una storia bene scritta, dove protagonista risulta essere l’assenza d’amore. Assenza d’amore dei figli verso il defunto padre, del padre verso i figli, e, addirittura, assenza d’amore tra le tre coppie protagoniste, o almeno prive degli strumenti per comunicarselo. Dialoghi dai ritmi incalzanti, emblematici sguardi vuoti, silenzi pieni di significati. Molto ben delineati i caratteri dei personaggi conditi da gestualità e posture che li rendono  verosimili. I bravissimi interpreti, poi, utilizzando questo doppio livello di espressione, verbale e gestuale, riescono ad essere molto credibili.
Anche se l’impossibilità di conciliazione e il vuoto di sentimenti aleggiano per tutto lo spettacolo, risultano significativi i momenti onirici in cui cambi luce e movimenti a rallentatore mostrano sprazzi d’amore tra i protagonisti dove di amore non ce n’è invece più da tempo.
Unico appunto, purtroppo, il finale. Aperto. Ma che a mio avviso è risultato invece il grande vero assente della serata. Una chiusura approssimativa di quella che altrimenti sarebbe stata una rappresentazione perfetta.

Giusi Alessandra Vaccaro

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