Nacque a Padova il 27 dicembre 1954 la prima campionessa italiana di nuoto
Benché l’acqua circondi quasi l’intero paese, il nuoto è uno degli sport che è stato più avaro di successi per i colori italiani, almeno fino a tempi recentissimi. Nella storia delle Olimpiadi, i rappresentanti azzurri hanno conquistato appena 18 medaglie, a distanza siderale dalle 540 vinte dagli statunitensi, ma anche significativamente dietro a nazioni con molti meno abitanti, come l’Ungheria (che ne ha vinte 68), l’Olanda (57), il Canada (43) e la Svezia (35). Per giunta, ci sono voluti 76 anni prima che qualcuno dal nostro paese salisse sul podio olimpico. La prima volta accadde ai Giochi di Monaco di Baviera, nel 1972, e il merito fu di una ragazzina neanche diciottenne, minuta ma determinata, che oggi compie 60 anni: Novella Calligaris.
Il 30 agosto, l’adolescente di Padova chiuse i 400 stile libero alle spalle della fuoriclasse australiana Shane Gould e nei due giorni successivi conquistò il bronzo nei 400 misti e negli 800 stile libero. Tre allori che suscitarono la considerazione persino del magno Mark Spitz, quella specie di dio greco che in Germania accumulò la bellezza di sette ori e che invitò la stampa che lo assediava a dedicare almeno la stessa attenzione alla “piccola italiana”, con cui intraprese, il playboy delle piscine, un’amorosa corrispondenza epistolare.
Nella desolazione in cui si dibatteva il nuoto italiano, la rondine padovana non fece però primavera, se è vero che occorsero altri 16 anni perché un collega la imitasse (Stefano Battistelli prese il bronzo nei 400 misti a Seoul nel 1988, primo maschio a riuscire nell’impresa), addirittura 28 perché arrivasse un oro (Domenico Fioravanti fece doppietta a Sydney nel 2000, arraffando i 100 e i 200 rana) e ben 36 perché Federica Pellegrini, prima donna azzurra, conquistasse il gradino più alto del podio, vincendo i 200 stile libero alle Olimpiadi di Pechino.
Novella fu un’eccezione e non fece scuola. Sbocciò prima che si verificassero le condizioni strutturali della sua affermazione, quando ancora mancavano gli impianti, il reclutamento di base, politiche scolastiche adeguate e i medici avevano appena cominciato a incitare i genitori affinché portassero in piscina i loro figli e le loro figlie. Non a caso la sua ascesa poggiò su una volontà di ferro, incrollabile, quasi incoerente in un fisico minuto, non ipervitaminizzato e muscoloso come quello delle americane, delle australiane e delle tedesche orientali con cui si confrontava e che avevano vasche a disposizione a ogni angolo di strada. Su questa solidissima convinzione fece leva per affrontare quelle interminabili, solipsistiche sessioni di allenamento tipiche di sport come il nuoto, in cui l’avversario principale non è un’atleta in carne e ossa, con i suoi sentimenti, i suoi punti di forza e di debolezza, ma l’impietoso cronometro che sanziona o premia senza emozione.
Novella era arrivata in piscina da piccolissima. La naturale tecnica natatoria era stata affinata da allenamenti sfiancanti e incessanti, che la tenevano in acqua anche sei ore al giorno, a combattere contro se stessa, a spronare il suo corpo a migliorarsi costantemente, di qualche secondo, di qualche decimo e poi di pochi centesimi. All’ammirato e incredulo Alfredo Pigna, conduttore della Domenica Sportiva dell’epoca, confessò: «Se considerassi questa vita un sacrificio non la farei. Io dedico al nuoto il tempo che le mie coetanee dedicano alla noia. Pensi alle ore che una ragazza diciassettenne trascorre poltrendo, guardando il sole, la luna o il soffitto. Io nuoto».
La sfida con il tempo, Novella la vinse l’anno dopo, alla prima edizione dei Mondiali, che si tennero in settembre a Belgrado. Gould, che aveva dominato i Giochi dell’anno precedente, si era ritirata, incapace di sopportare la pressione del successo. Fra l’italiana e la gloria restavano le possenti Gudrun Wegner, della Germania Est, e Keena Rothhammer, dagli Stati Uniti: la prima, si sarebbe scoperto molti anni dopo, fraudolentemente pompata dagli steroidi che sistematicamente le somministravano i medici della squadra; la seconda, primatista mondiale in carica.
Dopo un deludente quarto posto nei 200 stile libero, l’italiana centrò il bronzo nei 400 stile libero e nei 400 misti. Risultati di rilievo, soprattutto per un’atleta debilitata da un ascesso a un dente, ma non sufficienti per placare il demone interiore che alimentava la fame di successo dell’azzurra. Il 9 settembre, erano in programma gli 800 stile libero, la gara prediletta.
Novella è assegnata alla terza corsia, accanto alla Wegner, mentre la Rothhammer nuota in quinta. La partenza è lanciata; dopo 200 metri, Novella segue l’altra americana Jo Harshbarger, che vira con un vantaggio di due secondi sul record mondiale. Ai 300, Novella passa a condurre, imponendo il suo passo indiavolato e una bracciata fluida e ritmata come non mai. Il margine sul record sale a tre secondi, mentre Rothhammer cede di schianto. La cadenza di Novella resta costante e ai 700 metri anche Jo alza bandiera bianca. Le ultime due vasche sono una passerella trionfale, che emoziona il radiocronista Alfredo Provenzali ai microfoni delle frequenze RAI. Il record scende sotto il muro degli 8’53’’, per essere fissato a 8’52’’97: per la prima volta nella storia del nuoto un’atleta italiana si fregia dell’oro e diventa primatista mondiale.
Grazie anche al contemporaneo oro di Klaus Dibiasi dalla piattaforma, l’Italia si scoprì una patria di nuotatori e i peana salirono al cielo, carezzando l’amor proprio di un paese che in quegli stessi giorni doveva confrontarsi con l’anacronistica epidemia di colera che funestava Napoli e la Campania.
Il trionfo slavo fu l’ultimo acuto di Novella Calligaris. L’anno successivo ottenne altre due medaglie agli Europei di Vienna, ma senza vincere e soprattutto nuotando ben cinque secondi sopra il suo stesso mondiale. Non ancora ventenne, comprese che era giunto il momento di dire basta. «Ero stanca, corrosa» rammentò anni dopo. «Lo sport è soprattutto emozione e io non ne provavo più». Con la stessa fierezza che le aveva consentito di auto-infliggersi le massacranti sessioni di lavoro che l’avevano innalzata sul tetto del mondo, aggiunse: «E poi ero stufa di vedere le mie avversarie che, al posto del bastoncino del rossetto, usavano le lamette da barba!».
Paolo Bruschi