Thomas Müller, fuoriclasse anomalo e vincente

Il Mondiale sudafricano del 2010 vide sorgere l'ultima stella del firmamento calcistico tedesco


Thomas Muller

Portare il cognome Müller in Germania è come chiamarsi Rossi in Italia, equivale a una certezza d’anonimato. Diego Maradona doveva esserne in qualche modo consapevole, il 3 marzo 2010, dopo che l’Argentina aveva violato l’Allianz Arena di Monaco di Baviera e conquistato una promettente vittoria in vista dei Mondiali sudafricani. Alla rituale conferenza stampa, gli pareva impossibile che quello sbarbatello timido e compunto che gli stava di fianco avesse il diritto di sedere accanto a lui. Prima di rispondere alle domande, chiese pertanto che fosse allontanato: dopotutto, si giustificò, parlano gli allenatori e non i raccattapalle.

Il giovanotto biondo e dinoccolato non era però un raccattapalle, ma Thomas Müller che, poco più che ventenne, aveva appena esordito in nazionale, proprio quando compiva il passo di addio il vecchio capitano Michael Ballack. Con sguardo retrospettivo, si può definire quello il passaggio del testimone fra il massimo rappresentante di una Germania forte ma mai vincente e il giovane alfiere che avrebbe inanellato successi su successi, fino al titolo di Rio del 13 luglio scorso.

Ballack è stato infatti un grande giocatore, capace di assommare ben 98 presenze e 42 reti con la nazionale ma è pur sempre rimasto a un passo dalla gloria. Nel 2002, la Germania perse la finale contro il Brasile, che Ballack disertò per un cartellino giallo rimediato in semifinale. Nel 2006, con i galloni di leader della Deutsche Mannschaft, condusse i compagni al terzo posto dopo la sconfitta in semifinale contro l’Italia. Nel 2008, lasciò gli Europei all’insorgente generazione d’oro degli spagnoli e fu costretto a saltare i Mondiali del 2010 per un’entrata assassina di Kevin Prince Boateng nella finale di FA Cup del 15 maggio 2010. Poiché “le finali le perde solo chi le gioca”, per suffragare il detto, Ballack fece parte del Bayer Leverkusen che cedette la Coppa dei Campioni del 2002 nella partita decisa da uno dei gol più celebri di Zinedine Zidane e pure del Chelsea che fu sconfitto ai rigori dal Manchester United nell’edizione del 2008.

Lo sconforto di Ballack dopo l'errore dal dischetto di Terry nella finale di Champions League del 2008

Lo sconforto di Ballack dopo l'errore dal dischetto di Terry nella finale di Champions League del 2008

Thomas Müller, per così dire, ha un karma di tutt’altra natura, avendo già messo in bacheca il titolo iridato, la Champions League e la Coppa Intercontinentale dell’anno passato. Uscito dal prolifico vivaio del Bayern Monaco, si è imposto all’attenzione di osservatori e appassionati come un’anomalia nella lunga teoria dei fuoriclasse teutonici, al punto che molti l’hanno semplicemente etichettato come prototipo del calciatore moderno, nell’impossibilità di tracciarne un identikit tecnico più definito. Coetaneo di altre più reclamizzate e peraltro assai più impalpabili star globali, più incisive sui social network e dall’estetista che sul rettangolo di gioco, Müller non ha l’epidermide istoriata di tatuaggi auto-celebrativi, neo-gotici o stucchevolmente romantici, e anche mentre gioca passa quasi inosservato. Poco ortodosso nei movimenti, come ha notato il selezionatore Joachim Löw, non è particolarmente veloce, né dotato di una facilità di calcio memorabile o di un dribbling che sdraia i difensori. Conta piuttosto su una forza interiore insolita in un calciatore giovane, su una distintiva intelligenza calcistica e su una straordinaria capacità di “vedere” la porta, tanto da fare del gol un’ovvia routine che scaturisce da un facile appoggio da pochi metri o da una perentoria conclusione dalla distanza che si insacca a fil di palo.

Thomas è solo l’ultimo dell’interminabile stirpe dei “mugnai” (questo il significato del cognome) che hanno fatto grande il calcio tedesco. Del più celebre di loro, Gerd, il cannoniere implacabile degli anni ’70 cui Miroslav Klose ha appena strappato lo scettro di maggiore goleador della nazionale tedesca, Thomas veste la maglia n. 13. Lo fa con disinvoltura e a ragione, visto che a soli 24 anni ha già segnato 10 gol nelle fasi finali della Coppa del Mondo, vincendo la corona di miglior marcatore nell’edizione del 2010 e aggiungendone altri 5 in quella disputata in Brasile.

Dato l’incipit, giova tuttavia raccontare il seguito della gag fra Maradona e il “raccattapalle”. Giusto quattro mesi dopo la partita di Monaco di Baviera, Germania e Argentina si affrontarono nel quarto di finale di Città del Capo. La giovane formazione allenata da Löw non godeva dei favori del pronostico, contro un’Albiceleste che sfoggiava un attacco a dir poco stellare, potendo schierare Lionel Messi, Carlo Tevez e Gonzalo Higuain. Le bocche da fuoco argentine non spararono neanche un colpo e fu invece un precocissimo gol di Müller ha indirizzare inesorabilmente il match, che la Germania concluse in goleada con ben 4 reti a zero.

In semifinale, i tedeschi furono estromessi dalla Spagna, anche perché Müller fu costretto a saltare la partita per una squalifica dovuta alla somma di ammonizioni. Tornato per la finalina contro l’Uruguay fece in tempo a segnare la prima marcatura e a salire sul gradino più basso del podio.

L’ascesa fin sul tetto del mondo sarebbe stata completata nel 2014: guidare la nazionale alla conquista dei Mondiali è senza dubbio la migliore garanzia contro l’oblio di cui si diceva all’inizio. Proprio com’è accaduto a un certo Rossi, poco più di trent’anni fa.

Paolo Bruschi