Roger Milla, che mise l’Africa sulla mappa del mondo

Prima del Camerun nel 1990, nessuna squadra africana aveva fatto tanta strada in un Mondiale


MILLA

Con “Nuovo cinema Paradiso”, Giuseppe Tornatore vinceva l'Oscar; Nelson Mandela, cui Ruud Gullit aveva dedicato il “pallone d’oro” tre anni prima, era finalmente un uomo libero dopo 28 anni di carcere, l’opera-rock “The wall” veniva eseguita nella riunita Berlino davanti a 160.000 spettatori, l’Iraq invadeva il Kuwait chiamando gli Stati Uniti all’intervento nella guerra del Golfo, l’elettricista polacco Lech Walesa passava dalla prigione alla presidenza della Repubblica; si dissolvevano i regimi comunisti oltre la Cortina di ferro e a Michail Gorbačëv veniva assegnato il nobel per la pace; Achille Occhetto aboliva il PCI e fondava il Partito Democratico della Sinistra, mentre si aprivano in Italia i Campionati del mondo, che sarebbero stati vinti dai tedeschi, che così celebrarono anche sportivamente la riunificazione.

I Mondiali del 1990 sono ricordati per l’insulsa mascotte scelta dagli organizzatori capeggiati da Luca Cordero di Montezemolo e come una delle edizioni meno spettacolari di sempre, detenendo il record per la più bassa media-reti di ogni tempo. Sono però passati alla storia sportiva per le memorabili gesta del Camerun, che giunse a soli sette minuti dalla semifinale e quasi esaudì la profezia di Pelé, che nel 1977 aveva predetto che una squadra del continente nero avrebbe vinto la Coppa del Mondo prima del 2000. I “Leoni indomabili” furono condotti alle soglie di un risultato storico dalle strabilianti performance di Roger Milla, il centravanti ormai 38enne che aveva già onorevolmente disputato il Mundial spagnolo, quando il Camerun fu eliminato solo per il minor numero di gol segnati rispetto all’Italia di Enzo Bearzot.

"Ciao", la mascotte di Italia '90

"Ciao", la mascotte di Italia '90

Opposti all’esordio ai detentori del titolo dell’Argentina, gli africani picchiarono in effetti un po’ troppo, finendo addirittura in nove uomini per le due espulsioni comminate dall’arbitro Michel Vautrot, ma soverchiarono gli inebetiti avversari in forza e corsa, vincendo sorprendentemente per 1-0 e conquistando le simpatie dello stadio Meazza. Riferendosi all’incessante tifo per il Camerun, Diego Maradona commentò sarcasticamente: «Oggi abbiamo curato il razzismo italiano per sempre, visto che l’intero stadio sosteneva i nostri avversari, non è bello tutto questo?».

Eppure, il Camerun era arrivato in Italia come una scombinata comitiva di giocatori malpreparati e pessimamente diretti, oltre che aspramente lacerati da vecchie divisioni interne. Con una struttura organizzativa inesistente e senza istruttori all’altezza, fu necessario l’intervento del presidente Paul Biya (in carica ancora oggi!), che chiese aiuto alla federazione russa. Fu inviato Valerij Nepomnjaščij, un mediocre ex-giocatore, il cui unico precedente era stata la panchina di un’improbabile squadra turkmena di terza divisione. Fu nominato allenatore della nazionale, benché non parlasse né francese, né inglese: le traduzioni erano assicurate durante la Coppa del mondo dall’autista impiegato all’ambasciata camerunense a Mosca.

La vittoria inaugurale diede però al Camerun una straordinaria spinta emotiva e gli ultimi, proficui, minuti di Milla contro l’Argentina suggerirono al tecnico russo di utilizzare l’anziano attaccante come regolare sostituto nei secondi tempi, un ruolo che José Altafini aveva reso celebre nella Juventus all’inizio degli anni ’70. Questa sorta di staffetta programmata pagò i suoi dividendi già alla seconda partita eliminatoria, quando Milla segnò una folgorante doppietta, utile a superare l’ostica Romania.

L'abituale danza di Milla dopo ogni gol ai Mondiali italiani

L'abituale danza di Milla dopo ogni gol ai Mondiali italiani

Negli ottavi di finale, il Camerun era atteso dall’effervescente Colombia di Francisco Maturana, la cui porta era – per così dire – stravagantemente difesa da Rene Higuita, il portiere che aveva inventato la “parata dello scorpione” e che sostava assai raramente fra i pali e piuttosto prediligeva arrischiarsi in arditi disimpegni fuori dall’area di rigore. Come fece nei supplementari, consentendo al vecchio Roger, che già lo aveva fulminato due minuti prima dopo una ficcante percussione centrale, di soffiargli il pallone e di involarsi verso la porta sguarnita per il 2-0. I colombiani accorciarono, ma non poterono andare oltre e il Camerun staccò il biglietto per il quarto di finale contro l’illustre Inghilterra.

Sotto per 1-0, dopo la rete iniziale di David Platt, Milla entrò di nuovo nella ripresa e subito guadagnò un rigore, convertito dal compagno Emmanuel Kunde, e poi servì un delizioso assist a Eugene Ekeke per il clamoroso 2-1. A un passo dalla gloria, con gli inglesi storditi sul bordo del precipizio, i “leoni indomabili” omisero di spingerveli e nel finale concessero un rigore, che Gary Lineker trasformò per traghettare il match ai supplementari. Qui, con le gambe appesantite dall’acido lattico dell’extra-fatica già sopportata contro i rumeni, i camerunensi si sgonfiarono e l’esperienza del leoni albionici fece il resto: fu ancora Lineker dal dischetto ad allungare la lista delle previsioni sbagliate di Pelé.

Milla tornò ai Mondiali quattro anni dopo, nell’afa appiccicosa della California. Alla veneranda età di 42 anni migliorò il record che gli apparteneva di più vecchio goleador della Coppa del mondo, siglando la rete della bandiera nella disfatta (1-6) patita contro la Russia.

Nel 2002, il Senegal avrebbe battuto i campioni in carica della Francia e si sarebbe spinto fino ai quarti, come il Ghana nel 2010, che addirittura si arrestò a un solo rigore dalle semifinali. Entrambe, forse, avrebbero dovuto riverire Milla e il Camerun per quell’eccezionale estate italiana. Fu infatti dopo quelle formidabili e sorprendenti prestazioni che la FIFA decise di aumentare il numero delle squadre africane ammesse alla fase finale del Mondiale.

Paolo Bruschi