La Coppa del Mondo di Spagna regalò agli appassionati un prezioso talento africano e la vergognosa "combine" fra Austra e Germania Ovest
Gabriel Garcia Marquez vinceva il Nobel per la letteratura, gli occhi del “replicante” Roy Batty avevano visto cose strabilianti, Michael Jackson pubblicava l’album “Thriller” che avrebbe venduto un record mondiale di 109 milioni di copie; i cinesi diventavano più di un miliardo, Gilles Villeneuve spiccava il volo verso le piste del cielo; i militari argentini che avevano debellato il proprio popolo si arrendevano alla flotta inglese nella guerra delle Falkland e i miliziani falangisti libanesi trucidavano tremila palestinesi a Sabra e Shatila; nascevano Rete4 e Italia1, era in carica Giovanni Spadolini, il primo presidente del Consiglio non democristiano, mentre in Spagna si aprivano il 13 giugno 1982 i Mondiali di calcio.
Per la prima volta vi partecipavano 24 squadre, di cui due dall’Africa. Sia il Camerun che l’Algeria sfiorarono la qualificazione alla seconda fase, il primo superato dall’Italia per il minor numero di gol e la seconda vittima della combine di Gjion fra Germania Ovest e Austria, dopo aver presentato sul massimo palcoscenico calcistico la stella inattesa di Rabah Madjer, di cui le “volpi del deserto” (il nome che i tifosi magrebini hanno dato alla loro nazionale) avrebbero avuto bisogno nell’ottavo di finale perso ieri sera contro la Germania a Porto Alegre. Madjer fu infatti il protagonista assoluto della sorprendente vittoria dell’Algeria contro la fortissima Germania di Rummenigge, Stielike e Breitner, nel 1982: fu quella la prima volta che una formazione europea perse contro una rappresentativa africana in occasione dei Mondiali.
Da campione d’Europa in carica, avendo vinto tutte le otto partite di qualificazione, con 33 gol segnati e solo 3 subiti, la Deutsche Mannschaft si presentò alla rassegna iridata con i favori del pronostico. Niente lasciava presagire sorprese contro gli sconosciuti e sottovalutati algerini: «Dedicherò il settimo gol a mia moglie, l’ottavo al mio cane”, dicevano ridendo i giocatori, mentre l’allenatore Jupp Derwall promise che avrebbe preso il primo treno per Monaco in caso di sconfitta.
Gli algerini si chiedevano se questi commenti fossero una rozza tattica psicologica o una mancanza di rispetto. Sapevano di avere molti buoni giocatori e di essere ben preparati, e soprattutto avevano raggiunto un’invidiabile amalgama di squadra perché giocavano insieme da molto tempo, dato che all’epoca una norma vietava ai calciatori di espatriare prima dei 28 anni. Inoltre, erano gli eredi di quei giocatori che nel 1958 abbandonarono la carriera di professionisti in Francia per combattere la guerra di indipendenza proprio contro i coloni transalpini. Con quei calciatori, il Fronte di Liberazione Nazionale formò una squadra che girò il mondo, servendo come formidabile strumento di propaganda per la causa dei combattenti indipendentisti. E nel 1982 ricorreva il ventesimo anniversario della conquista dell’indipendenza…
Così determinata, l’Algeria lasciò che i tedeschi tenessero l’iniziativa, punzecchiandoli con contropiedi ficcanti e veloci, che dimostravano la superiorità atletica delle “volpi del deserto”. All’inizio della ripresa, una veloce manovra di rimessa condusse Lakhdar Belloumi a tu per tu con Harald Schumacher, che deviò la conclusione con una prodezza, soltanto per consentire all’accorrente Madjer di depositare la palla in rete con un lieve tocco di destro.
La Germania Ovest si rovesciò nella metà campo avversaria con veemenza e ottenne il pareggio dopo pochi minuti con Rummenigge. Subito si riportarono a centrocampo per accelerare la ripresa del gioco e riprendere gli attacchi. Invece, come era successo allo Stadio Atzeca nel 1970, dopo il pareggio, i tedeschi toccarono per la prima volta il pallone per raccoglierlo in fondo alla propria porta. In Messico era stato Gianni Rivera a chiudere in gol la ripresa del gioco dal cerchio di centrocampo dopo il momentaneo 3-3 segnato da Gerd Müller, e a Gijon, senza che nessun avversario potesse intervenire, fu Belloumi che spinse in rete il 2-1 al termine di un’azione fotocopia di quella appena finalizzata da Rummenigge.
Dopo quell’inaspettato successo, l’Algeria si lasciò sorprendere dall’Austria, che la punì con le sue stesse armi, difesa attenta e rapide ripartenze, mentre la compagine di Derwall ruggì in una netta vittoria contro il Cile, sconfitto alla prima giornata anche dagli austriaci. Nell’ultima giornata del girone eliminatorio, l’Algeria batté i sudamericani per 3-2, dopo esser stata avanti per 3-0, così mettendosi nella condizione di passare il turno ai danni di Germania e Austria, a meno che il loro confronto dell’indomani non fosse terminato con una vittoria tedesca per 1 o 2 gol di scarto.
Ovviamente, così finì. Alla precoce rete di Horst Hrubesch, non seguì una partita, ma un complotto. Né tiri, né tackle, né dribbling, solo fraseggi inoffensivi e retropassaggi ai portieri: persino Eberhard Stanjek, allora telecronista delle partite della nazionale per la TV di stato, si sentì in dovere di stigmatizzare il comportamento della propria rappresentativa, mentre il cronista austriaco invitò i telespettatori a spegnere l’apparecchio e rimase in silenzio nell’ultima mezz’ora di gioco.
L’Algeria elevò una formale protesta, dopo che i suoi tifosi e quelli spagnoli avevano agitato banconote sugli spalti dello stadio all’indirizzo dei giocatori tedeschi e austriaci. La FIFA respinse ogni accusa di macchinazione, al termine di una formale inchiesta, ma dopo quell’ignobile precedente decise che l’ultima coppia di partite dei gruppi di qualificazione si sarebbe sempre giocata in contemporanea.
Dopo il Mondiale, Rabah Madjer fu richiesto da diverse squadre europee. Il bando alla vendita all’estero dei campioni algerini gli impediva di rispondere a quelle offerte, ma l’attaccante non si perse d’animo e pose un ultimatum alla federazione: o mi lasciate andare, o non giocherò più per la nazionale. Tanto bastò per cancellare la norma. Madjer fu acquistato dal Porto, dove passò anni di grande successo, fino a che nel 1987 si trovò di nuovo di fronte ai tedeschi. Nella finale di Coppa dei Campioni, il Porto doveva infatti affrontare il Bayern Monaco, che vi si presentava con tutti i favori del pronostico.
Ancora una volta, fu Madjer a rovinare i piani tedeschi. Sotto di un gol, il Porto pareva rassegnato al proprio ruolo di sparring-partner, finché una confusa azione in area fu risolta dall’attaccante algerino con un colpo di tacco vincente, che gli valse da lì in avanti il soprannome di “Tacco di Allah”. Sulle ali dell’entusiasmo, Madjer si involò poco dopo sulla fascia e servì al compagno Juary un facile pallone da appoggiare in gol: fu il 2-1 finale e il primo trofeo internazionale per la compagine portoghese, che vinse anche la successiva Coppa Intercontinentale contro il Penarol, ancora grazie all’unico calciatore algerino in grado di sconfiggere per due volte la Germania.
Paolo Bruschi