Memorie ed emozioni della Coppa del Mondo nelle storie di 20 protagonisti, vecchi campioni e insospettati comprimari
Vanno e vengono vestiti colorati
Ora qualcuno sferra un epico calcione
Qualcosa vola verso il Sole
Non si sa se è il pallone o la Terra stessa
Baldomero Fernandez Moreno
Non so immaginare la meraviglia che può provocare in un bambino l’attesa per l’imminente celebrazione della festa calcistica per antonomasia, la quadriennale Coppa del Mondo della FIFA.
Non so immaginarla perché, se ripenso alla mia, di meraviglia, all’attesa trepidante e poi al godimento dei Mondiali argentini del 1978 (nel ‘74, avevo solo 6 anni e i ricordi sono forse ricostruzioni postume), alcuni fattori responsabili di quell’eccitazione sono oggi venuti meno. In primis, in un periodo nel quale il calcio non inflazionava il palinsesto televisivo e il Governo addirittura poteva decidere di differire la telecronaca di una partita per non incoraggiare i lavoratori all’assenteismo (successe il 17 novembre 1976, per Italia-Inghilterra, gara di qualificazione proprio ai Mondiali del 1978, disputata alle ore 14.30 di mercoledì), la rassegna iridata assicurava un’orgia pallonara che non conosceva eguali: ricordo che trasalii nel leggere il calendario e prendere coscienza che mi attendevano ben 38 partite in appena 25 giorni. In secondo luogo, il Mondiale era una scoperta: un bel numero di grandi e ottimi calciatori stranieri erano ignoti o largamente misconosciuti, poiché il campionato italiano era rigidamente autarchico e le coppe europee per club venivano trasmesse dalla RAI assai raramente, il più delle volte a tarda ora, durante la rubrica per nottambuli “Mercoledì sport”.
Per tutto questo, il Mondiale costituiva una specie di baccanale calcistico, un carnevale in piena regola, con lo scioglimento dei tradizionali e consolidati vincoli di fruizione dell’evento, che era rigorosamente programmato alla domenica pomeriggio (nel caso del campionato), al sabato pomeriggio (per la maggioranza delle partite della Nazionale) e, come detto, nei rari mercoledì sera, le poche volte che le squadre italiane facevano strada nei tabelloni delle coppe continentali. Con grande stupore e gioia, scoprii invece che durante il Mondiale le partite si disputavano ogni giorno della settimana, anche il lunedì, che pareva allora un giorno particolarmente insolito per collocarvi una gara di pallone – del Monday Night non sapevamo neanche il significato! Inoltre, e questo contribuiva ad accrescere l’incanto, a causa del fuso orario, le squadre scendevano in campo a ore inconsuete, alle 16.45, o alle 18.45 e perfino alle 0.15; comprensibilmente, mi intrigava soprattutto il fischio di inizio ai quarti d’ora.
È appena il caso di annotare che oggi questi elementi mancano del tutto. Di football in televisione ce n’è francamente anche troppo (pure di pessima qualità, specialmente in Italia), a tutte le ore del giorno, in ogni giorno della settimana e tutti i mesi dell’anno, avvezzi come siamo anche agli insulsi incontri estivi di preparazione e alla non più inedita pensata dei triangolari giocati su partite di 45 minuti. Come conseguenza, e anche in ragione della prevalente (ed eccessiva) composizione multinazionale delle squadre di serie “A”, dei giocatori che saranno protagonisti in Brasile si conosce già tutto: solo i piccoli più inconsapevoli e privi del trasporto che li indurrebbe a provare i sentimenti appena descritti, possono compilare l’immancabile album Panini e sbalordire alla vista di facce estranee.
Resta quindi l’interrogativo iniziale, sulla passione strabocchevole, che vince anche le più elementari regole del mercato, che deprivano di valore i beni e i servizi offerti in quantità inflazionate, e a cui il calcio sfugge.
Per i bambini, basta ancora il pallone che rotola sul rettangolo verde, un briciolo di immedesimazione e di sogno e la trepidazione è servita (è virale il video di un Maradona decenne che dichiara di avere due desideri: giocare la Coppa del Mondo e vincerla).
Per noi grandi, la questione è solo apparentemente più sofisticata e invece, in sostanza, banale. Il calcio rimanda alla vita e ai sentimenti che la pervadono. Quanta allegria, paura, esaltazione, rabbia, tristezza, umiliazione, bellezza ci sono in un Mondiale? Non lo si può dire, ma la risposta si cela in quel mese di tempo sospeso, quando tutto il pianeta ha i crampi allo stomaco e si mangia le unghie per la speranza e l’incertezza. È pur vero che non siamo ciechi, vediamo anche la corruzione, la mercificazione e la passione all’incanto, il doping e gli avidi figuri che dominano questa macchina per far soldi. Allora, slalomeggiamo arditamente fra principi e valori, scansando le brutture e la perversione, per giungere infine a ricercare le emozioni pure e immediate che ci hanno marchiato da ragazzini.
I ritratti e le vicende di 20 protagonisti di una storia ormai lunga, 20 “figurine del Mondiale” che prenderanno vita fino al giorno dell’assegnazione della ventesima Coppa del Mondo, il 13 luglio, nel catino leggendario dello stadio Maracanà, hanno per l’appunto lo scopo di propiziare quello che lo scrittore madridista Xavier Marias ha definito il “recupero settimanale dell’infanzia”.
Lo sguardo si poserà sui perdenti e sugli umili, su personaggi secondari, o su uomini le cui traiettorie si sono intrecciate con le vicissitudini della Storia con la "esse" maiuscola, come nel caso del francese Alexander Villaplane e del cileno Carlos Caszely. Ci saranno anche gli idoli assoluti, come Ferenc Puskas e Johan Cruijff; fuoriclasse come loro che la sorte ha tenuto lontani dall’alloro che pur avrebbero meritato, come il "divin codino" Roberto Baggio, o calciatori che si sono fregiati del titolo, che però solo nel caso di Fabio Grosso sono colti allo zenit della loro parabola agonistica, mentre di Obdulio Varela, capitano dell’Uruguay che gettò il Brasile nel lutto strappandogli il precedente Mondiale casalingo del 1950, sarà sottolineata la tempra, la tenacia e lo slancio consolatorio verso gli sconfitti.
In ultima analisi, sarà un pacato e riflessivo contro-canto al rutilare di gol ed emozioni che travolgerà i tifosi e gli aficionados, nella speranza di restituire nobiltà, profondità, senso storico e sociale al gioco più bello del mondo.
Paolo Bruschi