
dopo il restauro, il volto del Cristo, Benedetto da Maiano, antecedente il 1497, courtesy Opera di Santa Maria del Fiore, foto Antonio Quattrone
Torna sull’altare maggiore del Duomo di Firenze, dopo circa quattro anni di restauro, Il monumentale Crocifisso ligneo policromo (cm 190 x 177 x 29) del celebre scultore e architetto Benedetto da Maiano (1442-1497). Il restauro eseguito su proposta del Cardinale Giuseppe Betori, è stato affidato dall’Opera di Santa Maria del Fiore all’Opificio delle Pietre Dure. Sarà lo stesso Cardinale a svelare il Crocifisso restaurato durante la solenne liturgia del Venerdì Santo (18 aprile, ore 17.00), quando tre volte pronuncerà le parole “Ecce lignum crucis”, “Ecco il legno della croce…”.
L’intensa umanità della figura di Cristo torna a essere visibile dopo che per un secolo e mezzo era stata oscurata da uno spesso strato di ridipintura a finto bronzo, probabilmente applicata da un maestro ottocentesco, Giovanni Duprè, di cui sono documentati alcuni interventi sull’opera.
Il restauro ha svelato uno dei massimi capolavori di scultura d’epoca savonaroliana: “Se potessimo esporlo accanto ai crocifissi lignei di Donatello, Filippo Brunelleschi e Michelangelo, il Crocifisso di Benedetto da Maiano troverebbe la sua cornice stilistica e spirituale”, afferma Timothy Verdon, direttore del Museo dell’Opera, “una scultura in cui la monumentalità e la classicità del Davide michelangiolesco, realizzato tra il 1501 - 1504, erano già preannunciate “.
L’obiettivo del restauro era quello di scoprire se esistesse ancora l’antica policromia sotto la ridipintura ottocentesca e in tal caso se fosse possibile recuperarla. Le numerose indagini diagnostiche eseguite sul Crocifisso hanno confermato l’esistenza di una policromia a carattere naturalistico e i successivi saggi effettuati sulla scultura hanno convinto sull’opportunità di intervenire. “Il lavoro di rimozione dello strato di finto bronzo è stato lungo e molto delicato”, afferma Laura Speranza, direttore del settore restauro sculture lignee policrome dell’Opificio, “ma via via che avanzava la splendida scultura riacquistava, con il recupero dei colori naturalistici, i suoi valori plastici, con una anatomia perfetta, con la muscolatura descritta morbidamente che ben si adatta alle caratteristiche di Cristo secondo quanto asseriva Savonarola: ”il dolce et bon Jesu era di nobile complessione, et tenera, et delicata, et molto sensibile”.

Dopo il restauro, Crocifisso Benedetto da Maiano, courtesy Opera di Santa Maria del Fiore, foto Antonio Quattrone
La rimozione della ridipintura ha portato alla luce anche le reali dimensioni del perduto perizoma che doveva essere di tessuto azzurro, come hanno rivelato alcune tracce di colore sul legno e un filo rimasto impigliato in un chiodino. Quello ottocentesco era cortissimo, poco più di una fascia mossa di tessuto, mentre il perizoma quattrocentesco doveva ricoprire tutta la parte superiore della coscia. Dopo lo studio di altri Crocifissi di Benedetto da Maiano, in cui questo indumento tessile è ancora conservato, e varie prove su un modello 3D,appositamente realizzato, i restauratori hanno panneggiato un nuovo perizoma in tessuto di misto lino, tinto d’azzurro e trattato con una specifica resina che permette di mantenere la forma dei panneggi e di rendere meno ricettiva alla polvere la stoffa.
Acquistato dall’Opera di Santa Maria del Fiore nel luglio 1509 dal figlio dello scultore Giovanni, dopo tredici anni dalla morte del padre, il Crocifisso fu affidato per la policromia a Lorenzo di Credi nel 1510 e nello stesso anno un “octonaio”, tale Michelagnolo di Gugliemo, fu pagato per la “opera della diadema di rame dorata e della corona di spine facta per il crucifixo dello altare maggiore”.
Una storia ben documentata ma non per questo chiara: come mai un Crocifisso scolpito sicuramente prima della morte di Benedetto da Maiano, rimane nella bottega per altri tredici anni e poi è adattato per assumere il ruolo di principale arredo liturgico della Cattedrale? Per chi Benedetto da Maiano avrebbe dovuto realizzare un’opera così monumentale? Gli scultori del periodo lavoravano quasi sempre su commissione e il Crocifisso è troppo grande per una casa o un oratorio privato. L’unica grande chiesa di Firenze che negli anni ‘90 del 1400 stava realizzando importanti arredi liturgici era il Duomo: nel 1491 - 1492 era partito il progetto di decorazione della Cappella di San Zanobi, e vi è motivo di pensare che nello stesso periodo sia stato fatto qualche tentativo di nobilitare il coro ligneo intorno all’altare maggiore, che era sempre quello provvisorio realizzato da Filippo Brunelleschi nel 1436.
“La commissione del Crocifisso di Benedetto potrebbe quindi rientrare, secondo Timothy Verdon, in un progetto a lungo termine di ammodernamento dell’area liturgica sotto la cupola del Brunelleschi e più a est, nella cappella absidale di San Zanobi”. Scolpito il nuovo crocifisso però sia la morte di Benedetto da Maiano nel 1497, sia il tempo tumultuoso che seguì, posticiparono alla fine del primo decennio del secolo successivo il completamento dell’opera e la sua collocazione.
Durante il restauro, il Crocifisso di Benedetto da Maiano è stato sostituito con un altro, opera di un artista anonimo del XV secolo. Si tratta del Crocifisso che anticamente era collocato sull’altare maggiore della Cattedrale prima di quello di Benedetto da Maiano. La scultura entrerà a far parte della collezione del nuovo Museo dell’Opera.
L'INTERVENTO DEL CARDINALE GIUSEPPE BETORI
"Al mio ingresso in Firenze suggerii subito all’Opera di Santa Maria del Fiore che venisse restaurato l’antico Crocifisso di questa Cattedrale, attribuito a Benedetto da Maiano, un auspicio che oggi si realizza. Me ne compiaccio ed esprimo vivissima gratitudine a quanti vi hanno collaborato, nell’Opera e nel Capitolo della Cattedrale, nella Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Firenze e nell’Opificio delle Pietre Dure.
La gioia per aver raggiunto questo traguardo è strettamente connessa all’importanza che, come celebrante principale di questa Cattedrale e come moderatore della vita liturgica dell’Arcidiocesi, ho sempre ritenuto di dover attribuire alla Croce e all’immagine del Crocifisso nell’azione liturgica e nel decoro dell’ambiente liturgico.
Tutto nasce in primo luogo dall’importanza dell’orientamento da dare allo spazio liturgico e all’azione liturgica nell’esperienza religiosa in genere e in quella cristiana in specie. Fin dall’inizio ci si preoccupò, presso i cristiani, di orientare le aule liturgiche in modo che la preghiera innalzata dall’assemblea avesse un precisa direzione, che fu individuata nell’oriente, il luogo in cui il sole sorge. Il sole di cui qui si parla è evidentemente Cristo stesso, a cui vengono applicate le parole del Salmo 19: «Il sole […] esce come sposo dalla stanza nuziale. […] Sorge da un estremo del cielo e la sua orbita raggiunge l’altro estremo» (Sal 19,6-7).
L'orientamento dell'assemblea verso l'oriente è dunque espressione del suo orientamento a Cristo. È lui la luce che si proietta sulla vita e sulla storia. A lui ci si rivolge fin dal suo sorgere, perché illumini con continuità i nostri passi. Non è senza significato che di fronte all'abside, e quindi all'occidente, nelle chiese medievali fosse spesso effigiato il giudizio finale, vale a dire il compimento, il tramonto di quel tragitto storico che aveva ricevuto luce da Cristo e ora incontrava lui come giudice. Nella nostra cattedrale, in epoca ormai rinascimentale, questa visione ha trovato collocazione nel catino della cupola, ma ne è rimasta per così dire una citazione sulla parete di fondo, ai lati del portale, negli angeli musicanti di Santi di Tito, un pezzo di Paradiso. Tra oriente e occidente tutta la vita cristiana è sotto la presenza di Cristo. Alla sorgente di questa presenza, all'oriente, si volge, per invocarla, lo sguardo dell'assemblea liturgica.
Nel tempo, quando si moltiplicarono le chiese edificate sul sepolcro dei martiri - di questo è rimasta memoria nella consuetudine di riporre nell'altare le loro reliquie -, divenne spesso impossibile mantenere l'orientamento dell'edificio ad oriente.
A quel punto fu l'altare, sotto cui giacevano le spoglie dei martiri a diventare il punto di orientamento dell'assemblea. Così è ad esempio nella basilica di San Pietro a Roma. È chiaro che il martire non prendeva il posto di Cristo, ma rinviava a lui, in quanto suo testimone.
A esplicitare che Cristo, e in lui il Padre di cui egli è l'immagine, rimaneva colui a cui l'assemblea e la sua preghiera erano indirizzate, la funzione di orientare l'azione liturgica verso il suo proprio orizzonte e destinatario venne assunta dalla Croce e più specificamente dal Crocifisso.
Tutta l'assemblea deve sentirsi rivolta a Cristo, incluso colui che la presiede, e se questo può essere evidenziato dal rivolgersi verso il Crocifisso se ne avvantaggia la coscienza della fede. È quando mi auguro possa avvenire con il ritorno del nostro Crocifisso di Benedetto da Maiano. Questo dovrebbe aiutarci anche a superare un pericolo che potrebbe essere ingenerato da una errata comprensione della liturgia postconciliare. L'accentuazione della dimensione assembleare dell'azione liturgica, che ha giustamente segnato un correttivo rispetto a una comprensione individualistica della celebrazione che aveva spesso preso il sopravvento negli ultimi secoli, non deve però aprire le porte a una concezione liturgica che sarebbe altrettanto errata, quella che concepisce l'assemblea stessa come l'attore dell'evento, magari misurata nella sua maturità sulla base dell'attivismo che in essa si sviluppa - confondendo partecipazione attiva con il fare molte cose da parte di molti -, dimenticando che l'attore di ogni azione liturgica è Cristo stesso, il capo senza il quale il corpo assembleare non vive e che colui che presiede l'assemblea rappresenta, ma cui egli stesso è orientato. Tanto meno il centro della liturgia può essere colui che la presiede, sia pure in nome di Cristo. Anche lui è rivolto a Cristo, in quanto l’eucaristia non si celebra “verso il popolo”, bensì “verso Cristo”.
A evidenziare questo comune dipendere da Cristo ed essere a lui orientati, servirà magari che, almeno talvolta, lo stesso presidente dell’assemblea, si volga al Crocifisso durante la Preghiera eucaristica. Tutti guardiamo a Cristo e a lui è rivolta la nostra preghiera, contro ogni riduzione sociologica di un'assemblea che senza di lui non esisterebbe neppure.
Un secondo aspetto di questa ricollocazione del Crocifisso di Benedetto da Maiano sopra il presbiterio della nostra cattedrale va evidenziato. Il restauro ha opportunamente tolto al Crocifisso la coloritura bronzea che lo aveva rivestito da circa un secolo e mezzo, probabilmente, e ne ha svelato la coloritura che Lorenzo di Credi vi appose, per incarico dell'Opera di Santa Maria del Fiore, dopo che questa era venuta in possesso della scultura di Benedetto da Maiano, a cui verosimilmente la morte aveva impedito di completare l'opera con il colore, come era d'uso al tempo.
La colorazione bronzea ottocentesca aveva forse voluto occultare le lacune che il tempo aveva prodotto sulla pittura. Forse aveva voluto anche in qualche modo impreziosire l'oggetto liturgico, assimilandolo al metallo ritenuto più nobile del legno. Di fatto però così si era esaltata la dimensione trascendente del corpo del Signore, a scapito però della sua umanità. Con la bronzatura il Crocifisso veniva glorificato, ma si attenuava pure l’atto della crocifissione nella sua concretezza e nel realismo della passione. Si invertiva la rotta rispetto alla direzione che aveva preso l'arte sacra occidentale, fin da Cimabue e Giotto, per rispondere all’esigenza di dare forma alla verità della passione e morte di Cristo.
Tutto questo viene riscoperto dal restauro appena concluso, che non rappresenta quindi soltanto una operazione filologica, ma anche un contributo teologico e spirituale per aiutare a riconquistare il realismo e la storicità della fede, di cui la realtà e concretezza del sacrificio di Cristo nella sua vera morte è un elemento essenziale. La fede cristiana non è un mito o una vaga idea, ma un evento storico di cui essa, specie nella sacra liturgia, fa memoria e si fa profezia. Cristo è veramente morto e la sua morte è speranza per tutti i crocifissi di oggi. Anche questo annuncio di salvezza, questo vangelo di condivisione, misericordia e speranza, vuole essere il ritorno del Crocifisso di Benedetto da Maiano e di Lorenzo di Credi.
Grazie ancora a quanti lo hanno reso possibile. Dalla sua contemplazione molti possano riscoprire il volto di Cristo e riconoscerlo nei fratelli".
Fonte: Ufficio Stampa Opera di Santa Maria del Fiore
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