La migliore Italia nel tempio dello sci

Fauner e Daehlie

La superiorità della Norvegia nella staffetta 4x10km alle Olimpiadi di Albertville nel 1992 era stata al punto schiacciante che Bjørn Daehlie aveva tagliato il traguardo a marcia indietro, mostrando le terga alle telecamere. Quel gesto di pacifica e comprensibile esultanza si era tuttavia infisso nella testa degli italiani, argento a quasi due minuti dai vincitori, come una specie di mancanza di rispetto e con l’immagine del fuoriclasse vichingo che trionfa sciando a ritroso, l’Italia lavorò per la rivincita.

Nel 1994, i Giochi Olimpici si sarebbero però tenuti a casa dei dominatori norvegesi, a Lillehammer, e le gare di fondo si sarebbero concluse nel suggestivo scenario del Birkebeineren Ski Stadium, il luogo che i sudditi di re Harald V considerano la culla della nazione. Il mito fondativo della Norvegia narra che nel XIII secolo il neonato designato a riunificare il paese dilaniato dalla guerra civile, poi assurto al trono con il nome di Håkon IV (1217-1263), fosse in pericolo di vita. Due guerrieri lealisti della fazione Birkebeiner strapparono l’infante ai suoi aguzzini e nel mezzo di una tempesta di neve sciarono da Lillehammer a Ǿsterdalen per metterlo in salvo.

Al pari della cavalcata notturna del patriota americano Paul Revere, che vanificò l’attacco a sorpresa dell’esercito inglese alle postazioni degli insorti nella Guerra d’Indipendenza americana, e della corsa di Filippide da Maratona ad Atene per annunciare la vittoria sugli invasori Persiani, anche l’immagine simbolica della fondazione norvegese rimanda a un’impresa traducibile in una gara sportiva. Non a caso, per commemorare l’evento, si tiene dal 1932 la Birkebeinerrennet, una gran fondo di 54 chilometri durante la quale tutti i concorrenti trasportano una zavorra di 3,5 kg, a simboleggiare il peso del bambino tratto in salvo dagli eroi medioevali.

A cotanto carico identitario, corrispondeva la più forte squadra di sci di fondo di tutti i tempi, che il giorno della staffetta viaggiava sull’abbrivio di una striscia aperta di 8 vittorie consecutive ai Giochi invernali e che schierava in partenza un autentico All Star, con Sture Sivertsen, Vegard Ulvang, Thomas Alsgaard e lo stesso Daehlie in ultima frazione, i quali insieme avrebbero alla fine assommato addirittura 15 ori olimpici, per tacere degli svariati titoli mondiali e degli innumerevoli successi in Coppa del Mondo. Nessun dubbio quindi che il 22 febbraio 1994, giorno della gara a squadre sul tracciato affollato da oltre 100.000 norvegesi in trepidante e certa attesa dell’ennesimo trionfo, l’attempato quartetto azzurro si sentisse nella tana del lupo, come giocare contro il Brasile di Pelé al Maracanã o il Dream Team di Michael Jordan e Magic Johnson al Madison Square Garden. Agli ordini del ct Alessandro Vanoi, Maurilio De Zolt, Marco Albarello, Giorgio Vanzetta e Silvio Fauner potevano al massimo aspirare alla piazza d’onore. Invece, contro ogni pronostico, compirono l’impresa.

In prima frazione il “grillo” De Zolt, che con quasi 44 anni potrebbe benissimo essere il padre di Daehlie, cede onorevolmente al 28enne Sivertsen e con soli 10’’ di distacco consegna il testimone ad Albarello, che si getta all’inseguimento di Ulvang, raggiungendolo e addirittura superandolo al momento del cambio. Vanzetta scatta contro Alsgaard, l’astro nascente cui rende ben 13 anni, e lo tiene sorprendentemente a bada, rintuzzandone i furiosi attacchi e gli allunghi ripetuti. Dopo 30 km di fatica, l’Italia tampina la Norvegia, ma ora tocca al “re”, a Biorn Daehlie, cui proprio in questi giorni il connazionale e biatleta Ole Einar Bjørndalen ha sottratto il record di sportivo più medagliato nella storia dei Giochi invernali.

Daehlie ha appena detronizzato Gunde Svan, il “cigno” svedese che ha battuto in un’ideale successione al trono nella 15 km dei Mondiali del 1991, ed è circondato dall’aura dell’imbattibile. L’Italia gli oppone il pari età Silvio Fauner, con cui ha già battagliato più volte: «Avevo battuto Daehlie allo sprint un paio di volte e altrettante avevo perso. Nel caso di arrivo in volata, sapevo che avrei potuto giocare le mie carte alla pari», ricorda oggi l’azzurro.

Quando si scatena nell’ultima frazione, Daehlie richiama il boato dei tifosi che affollano il Birkebeineren Ski Stadium e impone alla gara un ritmo forsennato. Il finlandese Jari Isometsä cede quasi subito, ma non Fauner. Un lungo e soffocato urlo di stupore accoglie i due atleti appaiati al secondo passaggio nello stadio: la folla stenta a credere che il suo idolo non riesca a scrollarsi di dosso l’ostinato italiano. A due km dalla fine, Daehlie dà tutto se stesso all’attacco di una ripida salita, ma Fauner resta nella sua ombra. In cima alla collinetta, i due quasi si fermano, Daehlie prova a lasciar passare l’avversario nel tentativo di posizionarsi al meglio per l’ormai inevitabile sprint, ma Fauner resta al coperto. Poi, imboccano la veloce discesa che li conduce nello stadio e l’italiano supera all’interno acquisendo un piccolo vantaggio. Sul rettilineo conclusivo, Daehlie deve allargarsi all’esterno per avere pista libera e lanciare il suo disperato tentativo di rimonta. I due sono quasi affiancati mentre in un frastuono di voci il pubblico sospinge l’eroe di casa, che stavolta non ha tempo per spacconate sulla linea del traguardo. Daehlie non riesce a risalire e Fauner vince con un saltino di gioia. I 100.000 ammutoliscono come un sol uomo e nel silenzio irreale si alzano le grida di giubilo dei pochi italiani che siedono sulle tribune, fra i quali spicca l’esultanza di Alberto Tomba, venuto a incitare i connazionali.

Nelle due staffette olimpiche successive, la Norvegia avrebbe consumato la sua vendetta, beffando l’Italia per un soffio sia a Nagano che a Salt Lake City. A Torino, nel 2006, l’Italia sarebbe tornata sul gradino più alto del podio, ma davanti alla Germania, con la Norvegia solo quinta.

Fino alle Olimpiadi di Sochi di quest’anno, le più avare di medaglie nella storia recente degli azzurri.

Paolo Bruschi