'Finirò per diventare eternamente pazza', la mostra nel campus di Siena

Sette storie di donne, uomini e bambini che contengono molti elementi comuni a quelle della totalità dei ricoverati nel manicomio di Arezzo e in questo senso esemplari. Sono quelle raccontate nella mostra inaugurata in occasione del convegno “Asili della follia”, organizzato dal Dipartimento di Scienze della formazione e della comunicazione interculturale dell’Università di Siena con sede ad Arezzo nel campus del Pionta (viale Cittadini), fino al 1990 sede dell’Ospedale neuropsichiatrico aretino. "Finirò per diventare eternamente pazza. Immagini dal manicomio di Arezzo" è il titolo dell’esposizione, nella ex palazzina Donne, curata da Stefania Gherardi, Lucilla Gigli e Patrizia Montani dell'Università di Siena. “Attraverso l’internamento queste persone vennero estromesse e marginalizzate dalla società, perché non rientravano nei consueti canoni di ‘normalità’ – hanno spiegato le curatrici  - o perché il manicomio rappresentava l’unica soluzione prevista per fronteggiare la difficoltà delle famiglie a farsi carico di chi era bisognoso di particolari attenzioni”.
“Abbiamo voluto raccontare le loro storie a partire dalle fotografie contenute nelle cartelle cliniche, che dei pazienti ci restituiscono con immediatezza volti, sguardi, espressioni, corpi. Alle immagini abbiamo affiancato le parole: dei medici che ne descrivono comportamenti anomali e talvolta esuberanze, dei familiari e in alcuni casi delle forze dell’ordine, che nei loro rapporti giustificano la necessità del ricovero. Dove possibile, abbiamo restituito la voce agli stessi protagonisti, attraverso brani di diario o lettere indirizzate ai familiari che, mai spedite, sono rimaste per decenni inascoltate nelle cartelle cliniche. Rendere pubbliche le loro biografie – hanno concluso le curatrici - restituisce visibilità, dignità e umanità a tutti coloro, circa dodicimila, che furono ricoverati all’Ospedale psichiatrico di Arezzo”.
La mostra è aperta dal lunedì al venerdì dalle 8 alle 20.

Fonte: Università di Siena- Ufficio Stampa

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