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Il Papa a Sollicciano: il cappellano del carcere lo invita con una lettera durante la Marcia di Barbiana

(video TV2000)

La visita di Papa Francesco a Barbiana, piccolo borgo reso noto dalle vicende del Priore don Lorenzo Milani, è di per sé un avvenimento storico. La consacrazione ultima della vita e delle opere del parroco che per stare vicino ai suoi ragazzi e ai poveri patì le pene dell'Inferno e gli attacchi personali per il suo nuovo modo di vedere la vita.

Don Milani, come si legge nella missiva inviata al vescovo Ermenegildo Florit, chiedeva a gran voce una legittimazione per il suo apostolato, affinché non appaia "un fatto privato [...], l'opera di un pastore protestante".

Questa legittimazione è arrivata oggi con un Santo Padre da sempre vicino agli oppressi. C'è chi però ha chiesto uno sforzo in più, che verrà concesso in altra occasione e con altre modalità.

Parliamo della lettera che don Vincenzo Russo, cappellano del carcere di Sollicciano, e i detenuti hanno inviato qualche settimana fa proprio alla Santa Sede.

Un 'contatto' c'era già stato tra i carcerati e il Papa, in occasione della visita fiorentina del 2015. L'altare in legno con cui venne celebrata la messa allo stadio 'Artemio Franchi' era stato fatto dalle mani dei detenuti.

Don Vincenzo e i suoi detenuti si sono ripresentati al Papa, per chiedere una breve visita di conforto dopo la Marcia a Barbiana.

"I detenuti e il cappellano che firmano questa lettera vorrebbero avere da Lei un segno concreto di attenzione, di considerazione, di affetto e di speranza", raccontano nella lettera di tre pagine.

Inoltre affermano che Sollicciano "più che un luogo di detenzione teso alla riabilitazione è un centro di accoglienza per migranti e per quegli 'scarti sociali' tanto cari a lei". "

"Il carcere è ora come allora (ai tempi di don Milani, NdR) il luogo della emarginazione più dura, della concentrazione più alta di tutte le criticità: malattie, miseria, povertà, ignoranza, abbandono. [...] Ci sentiamo in mani estranee e sentiamo che su di noi viene esercitato un potere che non conduce [...] alla risocializzazione, al ritorno nel mondo dei liberi".

Il filo comune della vita trascorsa in carcere e quello della missione di ogni persona che sceglie il cammino verso Dio può essere quello di Don Lorenzo Milani. "Il modo migliore per onorarlo ci sembra stia [...] nel far rivivere la sua 'scuola' di vita anche fra noi, i più poveri, gli emarginati di oggi, i dimenticati da tutti ma non da Lei", proseguono.

A stretto giro è arrivata la risposta dalla Santa Sede, a firma del prefetto Georg Ganswein, prefetto della Casa Pontificia. (ENTRAMBE LE LETTERE IN CALCE ALL'ARTICOLO)

"Non si è mancato di dedicare la dovuta riflessione alla sua richiesta", spiega Ganswein, ma "a motivo della brevità della summenzionata visita [...] in questa occasione non è proprio possibile accogliere quanto da Lei richiesto". Il diniego è velato di speranza: "Il suo desiderio di incontro sarà conservato con la dovuta considerazione per una prossima data".

Proprio due giorni fa, racconta don Vincenzo, è stata consegnata in occasione della Marcia un'altra lettera indirizzata al Santo Padre. Eccone il testo.

"Santità,
sì, questa è la terza, la quarta o forse la quinta lettera che le scriviamo dalla Sua prima visita a Firenze.

Sono passati circa due anni e noi siamo ancora qui ad aspettarLa.
In questo lasso di tempo il Noi è cambiato più volte: si è svuotato e poi riempito. Qualcuno c'è da prima e ci sarà anche dopo. Tutti però, i nuovi, i vecchi, i cronici,... La stiamo aspettando e La aspetteremo fino a quando non vorrà venire a trovarci.
Perchè tanta attesa ?

Perchè Lei è una "luce". Una "luce" di speranza che illumina di possibilità positive il nostro futuro, ma anche una "luce" che attira gli occhi, attenzioni, informazioni ..sul nostro mondo, che è separato, dimenticato, chiuso.

E' bastato dare la notizia di una attesa fattiva ed abbiamo ricevuto attestazioni di solidarietà (anche critiche, si tante critiche), adesioni, attenzioni.

Articoli sui giornali e trasmissioni radio: e noi abbiamo bisogno che questa luce rimanga accesa e renda VISIBILE il celato, CONOSCIBILE lo sconosciuto. Quell'ignoto che poi è sotto gli occhi di tutti, alla portata informativa di chiunque voglia sapere.
Da vedere e da sapere c'è una quotidianità di disperazione che non deve trasformarsi in rabbia (non lo vogliamo) ma che nemmeno vogliamo trascurare,introiettare, rivolgere contro noi stessi.

Una quotidianità fatta di innumeroveli ed inutili aggravi di pena, di vuoti, di perdita di tempo, di dispersione di risorse ed energie.
Rifletta con noi, Santità, che siamo ormai consapevoli di quanto costiamo allo Stato e di quanto invece potremmo fruttare in risorse, in risparmi, in sicurezza per tutti. Ma non possiamo,da soli, chiudere questa forbice, che addirittura il buon senso indicherebbe. Chi lo può fare ci sembra lontano, concentrato su altro, altro che però perpetua i costi, lo sfruttamento, l'insicurezza. E ci viene naturale chiedere il motivo di questo funzionamento.

Noi pensiamo che chi ha il diritto di togliere la libertà ad altre persone, ha poi il dovere di curarne il percorso di ritorno. Non lo diciamo noi, lo dice la Costituzione italiana, la migliore del mondo, dicono. Ma se è disattesa, come può essere la migliore ?Questa cura non c'è, e non fa scandalo che non ci sia.

Non siamo soli a galleggiare in questa "trascuratezza", purtroppo la compagnia è numerosa, e c'è anche chi sta peggio. Tante persone, popoli interi. Persone che muoiono. Persone che propugnano e fanno guerre. Persone che perdono tutto. Persone che trovano solo frontiere e muri davanti. E noi tra questi, noi che riempiamo il carcere di una città tra le più belle e ricche del mondo, che rimane lontana, irraggiungibile, ostile.

Sicuramente non accogliente. In questa città noi viviamo in un carcere fatiscente, torrido d'estate e gelido in inverno, acqua che manca o acqua che scorre nelle celle quando piove, ammucchiati in spazi insufficienti per un minimo di privacy o per i gesti quotidiani. Ci disturbiamo tra di noi e sentiamo crescere dentro l'insofferenza per l'altro invece della comprensione e della solidarietà. Riceviamo visite, arrivano controlli, entrano volontari, insegnanti ...tanti. Ma tutto rimane fermo dietro il muro. Sembra impossibile ma è così.

Sappiamo dai giornali, da altri detenuti, di situazioni diverse dove vengono costruite strade collettive (magari non per tutti, ma basterebbe un passo allo volta).

A Firenze no, eppure è la città al centro dei poteri istituzionali, economici ...

E allora ci viene il dubbio che tutto ciò sia voluto, determinato e che il disegno sociale sia un altro da quello che è scritto o dichiarato. Noi vorremmo essere parte di una città BELLA DENTRO non solo fuori, una città che usasse le possibilità a disposizione per essere ancora un centro di cultura vera, quella che parte dall'uomo e torna ad esso e ne mgliora la sensibilità, la visione del mondo, il benessere, la pace interiore, la fiducia, la fede .

Lei oggi visita Barbiana, un luogo in cui tutto questo si è realizzato. Ma anche a Barbiana è necessario continuare gli sforzi per non perdere le indicazioni di partenza.

Qui, le tracce per partire le stiamo ancora cercando. E dunque ci perdoni se continueremo ad aspettarla, a chiederLe di tenere la luce accesa sul nostro mondo".

 

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