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Germania e Inghilterra, il giorno della svolta

England's captain Bobby Moore, left, shakes hands with West Germany's captain Franz Beckenbauer at Wembley Stadium, London, April 29, 1972, before the start of the European Nations Cup, quarter final, first leg. (AP Photo/Staff/Harris)

Nella lunga storia dei confronti diretti fra le nazionali tedesca e inglese, la partita del 29 aprile 1972 segnò un cambio di verso e l'avvio della supremazia germanica

«Il calcio è un gioco semplice: 22 uomini in mutande rincorrono un pallone e alla fine vince la Germania», ha icasticamente sentenziato Gary Lineker. Con la sua lapidaria affermazione, l’ex attaccante inglese degli anni ’80 e ’90 ha magistralmente sintetizzato l’ormai pluridecennale primato tedesco sul calcio internazionale, che cominciò a delinearsi il 29 aprile 1972, quando l’allora Germania Ovest violò il terreno di Wembley, infliggendo ai classici avversari la prima sconfitta interna di una rivalità cominciata oltre quarant’anni prima.

I capitani Bobby Moore e Franz Beckenbauer prima dell'inizio della partita

Prima di quell’andata dei quarti di finale del Campionato europeo per nazioni, che i bianchi allenati da Helmut Schön si sarebbero aggiudicati due mesi dopo battendo per 3-0 l’Unione Sovietica nella finale di Bruxelles, la storia dei confronti diretti fra le due nazionali era stata un monologo albionico. Dopo il pareggio inaugurale del 1930, la rappresentativa dei Tre Leoni aveva infatti incamerato sette vittorie consecutive e soltanto in occasione di un’amichevole disputata nel 1968 ad Hannover aveva patito la prima sconfitta. Ai Mondiali del 1970, in un’altra sfida valevole per i quarti di finale, la Germania aveva di nuovo prevalso per 3-2, ma al termine di una rocambolesca e tarda rimonta che dovette molto all’inesperienza del quasi esordiente portiere britannico e che non scalfì l’ancora radicata convinzione inglese di essere ben superiori ai tradizionali contendenti. Il match di 45 anni fa fu invece una sorta di rivelazione, un brusco risveglio da un sogno lungamente coltivato e un indiscutibile punto-di-non-ritorno. Dopo di allora, le traiettorie delle due nazionali presero a divergere con evidente chiarezza: la Germania si è affermata come una delle principali potenze planetarie del pallone e l’Inghilterra si è sempre più immalinconita nello scomodo ruolo dell’antico fondatore del gioco cui non riesce più di primeggiare.

Al match di Wembley, le due squadre si apprestarono con opposti approcci. L’inghilterra allenata da Alf Ramsey schierò ancora la metà degli effettivi che avevano conquistato la Rimet casalinga del 1966, superando proprio i tedeschi nell’atto conclusivo anche grazie alla magnanimità della terna arbitrale, che convertì in un gol valido il potente tiro di Hurst che era rimbalzato sulla linea di porta dopo aver sbattuto sulla traversa. Quel successo riconfermò l’ordine gerarchico percepito dagli inglesi, i quali coniarono a riprova il celebre coro da stadio “Two World wars and one World cup”, tutt’oggi intonato dai sudditi di Sua Maestà e ormai fonte di imbarazzo per entrambi i paesi. La Germania era invece nel pieno di un processo di svecchiamento e stava mettendo a frutto la magnifica generazione di campioni che avrebbero dominato il gioco per buona parte degli anni ’70. Intorno a Franz Beckenbauer giostravano giovani promettentissimi come Paul Breitner e Uli Hoeness, fuoriclasse affermati come Sepp Maier e Gerd Müller, solide sicurezze come Jürgen Grabowski e Herbert Wimmer. Il tutto era impreziosito dall’imprevedibile e ciclonico Günther Netzer, le cui scorribande a tutto campo erano destinate a scompaginare l’ingessata compostezza dei supponenti padroni di casa.

Netzer e Hoeness su prato di Wembley

Imbattuti da 10 gare, gli inglesi cominciarono assediando l’area avversaria, ma la sfuriata iniziale si spense presto di fronte all’ariosa ed elegante manovra tedesca. Il centrocampo allestito da Ramsey, con chiara vocazione offensiva, sapeva bene cosa fare essendo in possesso del pallone ma aveva grosse difficoltà a conquistarlo. In breve, gli ospiti guadagnarono fiducia e avanzarono il raggio d’azione. A metà del primo tempo, fu un disimpegno errato di Bobby Moore, l’eroico e leale capitano che aveva levato nel cielo di Londra la Coppa Rimet ricevuta da Elisabetta II nell’estate del 1966, a propiziare lo 0-1 del ventenne Hoeness.

La partita si trasformò in una plateale dimostrazione di forza dei talentuosi e tatticamente innovativi giocatori germanici, i quali mancarono però di sferrare il colpo di grazia per inesperienza o sfortuna. L’inghilterra fu pertanto riammessa in gara al 77esimo minuto, grazie a una rete di Franny Lee, lesto a ribadire in gol una corta respinta di Maier. Nell’ottica del doppio confronto, un pareggio con reti in trasferta sarebbe comunque stato un risultato favorevole per la Germania, che invece si ripropose in avanti.

Un altro errore in fase di impostazione lasciò strada a una sgroppata di Siggi Held, che ancora Moore atterrò in area di rigore per un penalty sacrosanto che Netzer trasformò nel nuovo vantaggio. In chiusura ci fu gloria anche per il rapace Müller, che sibilò a fil di palo una rapida giravolta appena dentro i sedici metri, non prima però che Emily Hughes, in un’impacciata fase di riavvio dell’azione, avesse gentilmente offerto il pallone all’arrembante Held.

Il 3-1 finale fu una vera pietra miliare: la prima vittoria tedesca in Inghilterra e la prima sconfitta casalinga dei maestri del football in oltre venti partite. Fu anche il contrasto simbolico fra due stili di gioco, uno tradizionale, rigido e declinante, l’altro versatile, multi-dimensionale ed emergente. Nel 2011, la rivista Bild avrebbe catalogato quel trionfo dell’aprile 1972 come la migliore fra le molte gloriose partite nella storia della Deutsche Mannschaft.

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