Natale in casa Cupiello al Metastasio di Prato: Latella reinterpreta l'eredità di De Filippo

Dal 5 all’8 gennaio sul palcoscenico del Teatro Metastasio, arriva Natale in casa Cupiello di Eduardo De Filippo con la regia di Antonio Latella, uno spettacolo che esprime una rigorosa e rispettosa filologia drammaturgica (il testo eduardiano è praticamente intatto) accompagnata da una radicale riscrittura sul piano attoriale, scenico e visivo.

Regista tra i più in vista della generazione under 50, nuovo direttore del settore della Biennale Teatro di Venezia, Antonio Latella reinterpreta qui l’eredità di Eduardo come autore, artista e personaggio dal respiro europeo. Un’eredità che ha il suo filo conduttore nello studio e nel confronto con la tradizione alla ricerca di forme nuove, affrancate dalla riproduzione e dai condizionamenti: «per ereditare qualcosa bisogna accettare il fatto di non essere più figli ma “orfani” – commenta Latella – solo quando accetti di essere orfano hai la capacità di ereditare e di capire cosa stai ricevendo. Succede quando smetti di parlare di te stesso e parli dell’altro, provi a esprimerti attraverso l’altro, attraverso colui che ti lascia un’eredità. Se penso al rapporto di Eduardo con la tradizione e allo spostamento dalla tradizione che ha provocato con il suo lavoro, comprendo che noi ereditiamo proprio questo spostamento».

Nell'iconografia teatrale classica di Eduardo Natale in casa Cupiello coincideva con una domestica discesa all'inferno e ricostruiva, nella cornice del Natale e nell'apparentemente innocua preparazione del presepe, un ritratto di famiglia fatto di menzogne, segreti, frustrazioni, umiliazioni e ambizioni.

La trasposizione registica di Latella è ad alta densità di immagini, suggestioni, metafore e rimandi teatrali, letterari e musicali: con chiarezza di visione si trova il Pirandello dei Sei personaggi nei protagonisti schierati in proscenio, immobili, nella presentazione che fanno di sé durane il primo atto; il Brecht di Madre coraggio, in un pesante carro trascinato dalla protagonista nel secondo atto; ci sono, sempre sottesi, anche lo spirito di Kantor e l'ombra di Kafka mentre, ad accenni di sceneggiata subentra l'eco della tragedia classica col coro tragico e, al teatro musicale di Monteverdi coi suoi recitativi, le liriche di Rossini. E c'è, infine, il tono, l'atmosfera, e le pose, della pittura barocca napoletana, a suggellare una messinscena di pura teatralità contemporanea, di intelligente e geniale lettura di un “classico” lontana dai cliché di una certa tradizione che vorrebbe le opere di Eduardo De Filippo riproposte secondo stilemi canonici immediatamente riconducibili.

Domina e sottende tutta la messinscena la ricerca continua di un dialogo tra lingua italiana e napoletana, non dimenticando mai il confronto tra tradizione e riforma, radici e trasformazione, origini e innovazione. Proprio nella lingua risiede l'omaggio di Latella all'Eduardo artista e uomo, drammaturgo di portata europea, mentre la conquista di quello “spostamento” dalla tradizione come eredità, si manifesta e si dispiega nella drammaturgia visiva che si concentra sul Presepe. Il Presepe è corpo, voce, parola, sguardo, è l'animale chiuso in ogni personaggio, è il dono che ogni personaggio porta al suo Creatore. «La stella cometa non porta nessuna buona notizia, non mi interessano i buoni sentimenti - annota Antonio Latella - Luca Cupiello insegue la stella come le pale di un mulino a vento. Lievita in assenza di concretezza e si riduce a un dolore fasciato di pelle e ossa; un pater fuori ruolo che parla un'altra lingua e si muove in un altro modo. La stella cometa illumina un presepe dietro il quale abbiamo messo tutto quello che non vogliamo vedere o che non vogliamo accettare, mentre arrivano le feste. E poi i parenti, i vicini, gli altri. Le generazioni si avvicendano e sono portatrici di valori diversi, distanti, inconciliabili, dagli esiti imprevedibili. Sguardi pronti a diventare giudizi e a indurci in comportamenti che qualcuno ha assunto come adeguati. Tutti sono immersi in un rituale funebre di interessi e di apparenze. Tutti sono schiavi di un dedalo di aspettative scontate, immobili come i personaggi del presepe, ma qui non ci sono nascite in vista».

«Latella dichiara di essere un regista che pensa molto al pubblico mentre lavora, perché lo considera “la possibilità performativa del teatro”, quello che fa cambiare lo spettacolo ogni sera; e che il suo primario interesse, in questo momento, è far sì che lo spettatore sia messo in condizione di “prendere posizione”, di dichiararla esplicitamente, invece che fruire passivamente di qualcosa che rimane confinato sul palcoscenico. Il teatro – si potrebbe di qui ipotizzare – è qualcosa che ci riguarda da vicino, e che forse può ancora cambiarci un pochino la vita, in maniera piccola e però concreta.

Certi allestimenti di Antonio Latella si sono rivelati talmente radicali da produrre – in platea e nella critica – un impatto raro di questi tempi: spettatori divisi, discussioni infinite, anche un po' di scandalo; una separazione netta fra chi resta spiazzato (e magari addirittura lascia la sala) e chi invece gode per questo spostamento delle attese, di fronte a una nuova scoperta che riguarda il teatro ma anche e soprattutto se stesso. Per questo, a questo punto, ci si potrebbe sentire autorizzati a suggerire che il teatro di Latella, i suoi spettacoli, il suo modo di fare regia, fanno parte nel complesso di un progetto culturale di ampio respiro, che evidentemente tiene in maniera salda al proprio centro il pubblico, il suo cambiamento». (dalla recensione allo spettacolo di Roberta Ferraresi su Doppiozero.

Per la replica del pomeriggio di domenica 8 gennaio è previsto il servizio babysitting gratuito con prenotazione obbligatoria entro giovedì 5 gennaio scrivendo a cometa@metastasio.it o telefonando ai numeri 0574/608550 - 608536 (lun/ven, 9.30-13.00 e 15.30-17.30).

Fonte: Teatro Metastasio di Prato

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