Gli ingredienti per farne una storia che merita di essere raccontata ci sono tutti: l'essere partita come startup, l'età media di venti anni dei promotori al momento dei primi passi, la modalità con cui tutto è iniziato, ovvero in un garage, richiamo al Bill Gates che, in una stanza simile, dette inizio al suo impero. Una spruzzata dello <stay hungry, stay foolish> di Steve Jobs (per iniziare un'attività imprenditoriale un po' di follia serve sempre, specie a venti anni) ed ecco che il piatto è servito: la Date, azienda che produce scarpe e che ha sede in Empoli, dieci anni dopo si appresta a fare l'ennesimo passo della sua intrigante storia imprenditoriale aprendo un negozio mono-marca a Milano.
Ma, se questa storia dobbiamo raccontarla, iniziamo anzitutto dal prodotto (scarpa ginnica non destinata all'attività fisica ma alla moda), dai protagonisti (quattro amici, Damiano Innocenti, Emiliano Paci, Tommaso Santoni e Alessandro Zanobini scomparso purtroppo in un incidente stradale), dal nome (le loro iniziali) e dalla loro idea: <perchè non iniziamo a produrre scarpe? ci chiedemmo quasi per scherzo>. Ad onor del vero Damiano qualcosa nel Dna ce l'aveva visto che suo padre già le produceva, ma gli altri conoscevano le scarpe solo perchè le portavano ai piedi: <Mediamente avevamo poco più di venti anni - raccontano nello show room delle nuova sede di via Sottopoggio per San Giusto - e tutti lavoravamo. Siccome uno di noi aveva una macchina per tagliare in garage, ci ritrovavamo dopo cena o nei giorni di festa per fare le prime 700 scarpe. Quasi per caso avemmo la possibilità di partecipare a Pitti Immagine e così i nostri primi sforzi furono premiati>. Ma non bastarono le difficoltà che sempre ci sono, i dubbi (<quando andammo dal notaio per costituire la società ci chiese se eravamo sicuri>), i genitori che non vedevano di buon occhio che i figli lasciassero il loro lavoro per imbarcarsi in una cosa di cui nessuno poteva sapere l'esito, perchè arrivò un colpo durissimo, il peggiore. <Il giorno prima di Pitti, quando eravamo indaffaratissimi e giravamo come trottole, Alessandrò morì in un incidente stradale. Per noi era come un fratello e ci chiedemmo anche se avevamo davvero, davanti ad una simile tragedia, la forza di andare avanti senza uno di noi. Ma lo facemmo anche per onorare la sua memoria e continuammo la strada che anche lui ci aveva aiutato ad iniziare>. L'azienda inizia a crescere, la ditta del padre che produceva scarpe era divenuta troppo stretta e così la decisione di trovare una sede nuova e di allargare gli orizzonti. Sempre foolish, forse, ma ora con qualcosa di più stabile alle spalle: un prodotto che si fa conoscere nel mondo e, soprattutto, comprare. <Un giorno eravamo in un negozio a Firenze e, stando lì un po', ben due clienti decisero di acquistare le nostre scarpe. Fu un bella sensazione, forse quella che ci fece capire che la nostra caparbietà, i nostri sforzi, le tante notti o feste trascorse in garage a tagliare la pelle, i mille dubbi che naturalmente affioravano sempre, avevano trovato finalmente un senso: la gente comprava scarpe col quadrato Date>. La storia prosegue, l'azienda cresce ancora, il prodotto piace anche se è di qualità e quindi piuttosto costoso, la crisi si fa sentire ma senza provocare grossi scossoni, la rete commerciale si allarga a tutto il mondo (ad eccezione dell'America del Sud si vende ormai ovunque), i dipendenti arrivano a quindici persone e ora, a gennaio, il primo negozio monomarca a Milano. E loro tre, Damiano, Emiliano e Tommaso, sempre lì, ognuno impegnato in un settore specifico, spesso a discutere anche in modo acceso ma sempre nell'esclusivo interesse dell'azienda, una bella dimostrazione di amicizia e unità. In testa la voglia di allargarsi ancora di più specie negli Stati Uniti, ai piedi la scarpa col quadrato Date. Ormai un brand
Marco Mainardi