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La Bastarda di Istanbul, grande successo annunciato al Teatro di Rifredi

Se non siete andati a vedere La Bastarda di Istanbul al Teatro di Rifredi, vi siete persi l’occasione di assistere a un gran bello spettacolo.

La piéce teatrale tratta dall’omonimo romanzo, scritto nel 2006 dalla turca Elif Şafak  e tradotto in oltre trenta lingue, ha infatti riscosso un meritato tutto esaurito per ognuna delle sue repliche anche quest'anno.

L’opera, drammatica e divertente al tempo stesso, ripercorre attraverso la storia di due famiglie il genocidio armeno avvenuto in Turchia più o meno un secolo fa.

Una storia densa, della durata di circa due ore, la cui riduzione e regia sono state eseguite dal fiorentino  Angelo Savelli e la recitazione affidata ad un ricco cast di talentuosi vecchi e nuovi volti del teatro contemporaneo (Valentina Chico, Riccardo Naldini, Monica Bauco, Marcella Ermini, Fiorella Sciarretta, Diletta Oculisti, Elisa Vitiello) tra i cui nomi spicca senza dubbio quello della celebre Serra Yilmaz, protagonista di tanti film di successo di Ferzan Özpetek.

Tema principale della storia la spinosa questione armena, ripercorsa attraverso la vita di due famiglie, una turca e una armena appunto. La commedia si sviluppa inizialmente con i monologhi volti a narrare quella dei Kazanci. Tra le donne, una spicca più delle altre. L’esuberante e altissima Zeliha, moderna  e conturbante madre nubile di Asya, la “bastarda” del titolo. Poi le sue tre sorelle, la veggente  Banu, “colei che sa”, impersonata da Serra Yilmaz ,  e le altre due Cevriye, la seria insegnante, e Feride, l’ipocondriaca. Insieme alla madre Gulsum, le Kazanci, abitano ancora nella loro  vecchia dimora turca mentre l’unico fratello maschio, Mustafa, da anni vive in America e lavora come geologo. Il ragazzo, viziato e vezzeggiato fin da piccolo,  è stato infatti costretto a fuggire per scampare alla maledizione che lo vorrebbe morto entro i 41 anni di età. Gli uomini della famiglia da sempre sono destinati a morire precocemente, e lui è l’unico ancora in vita. In America il ragazzo ha sposato Rose, un’americana in precedenza legata ad un armeno, Barsam Tchakhmakhchian, con cui ha avuto  una bambina Armanoush, personaggio chiave nell’intreccio della storia. Un giorno,alla ricerca delle sue origini, la ragazzina infatti si reca di  nascosto a Istanbul chiedendo accoglienza proprio alla famiglia d’origine del patrigno. L’unione di due diverse culture mostrerà dunque le similitudini, più che le differenze, tra i due popoli che per anni si sono tanto odiati. L'odio ancestrale tra turchi e armeni sembra in questo microcosmo superabile con l’aiuto della conoscenza e dell’ascolto.

Strane coincidenze hanno unito, poi diviso e poi unito ancora queste  due famiglie. Andando a ritroso nel tempo scopriamo infatti che la vera nonna paterna dei Kazanci, Shermin,  non è altro che l’armena Sushan nonna di Armanoush, che ha abbandonato il proprio figlio proprio per l’impossibilità di conciliare l’amore per la propria famiglia d’origine con quello per la prole e il compagno di diversa etnia.

I destini di tutti i personaggi si  intrecciano e, piano piano, continuano a dipanarsi i misteri che hanno caratterizzato le loro vicende nel corso degli anni, fino ad arrivare ad uno sconvolgente finale a sorpresa.

Il cast è veramente eccellente. Degne di nota sono soprattutto  le interpretazioni di Valentina Chico – intensa e credibile nel non facile ruolo di Zeliha, e conosciuta dal grande pubblico soprattutto per i ruoli di successo interpretati per la tv -  e Monica Bauco - efficace tanto nei panni di Feride, ipocondriaca sorella Kazanci, quanto in quelli divertenti e sopra le righe di Rose, madre di  Armanoush.

Bellissime e molto efficaci anche le scenografie interattive create appositamente per lo spettacolo dal visual artist Giuseppe Ragazzini.

Una trasposizione teatrale molto convincente che veicola una costante e necessaria rilettura della storia nel rispetto della pluralità dei punti di vista coinvolti. Da vedere.

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