Dan Peterson? Per me, sempre il n. 1!

Con le parole di Dino Meneghin, ci uniamo al coro degli auguri per l'ottantenne coach americano


Anche Dan Peterson è arrivato a 80 anni. Nacque a Evanston, negli Stati Uniti, il 9 gennaio 1936, ma è divenuto celebre in Italia, come tecnico e divulgatore di basket. Con Bologna e Milano ha vinto numerosi titoli e dai microfoni delle televisioni di Mediaset e dalle pagine della Gazzetta dello sport e di svariati libri ha promosso il gioco come pochi altri nella Penisola. Il Corriere della sera lo ha omaggiato con una bella intervista, qui lo celebriamo attraverso le parole di Dino Meneghin, che parlò molto del suo leggendario coach quando venne a Empoli, il 21 giugno 2013, e lo intervistai nel quadro della rassegna del Comune di Empoli che si chiama come questo blog.

L'assessore Eleonora Caponi presenta l'intervista a Dino Meneghin

L'assessore Eleonora Caponi presenta l'intervista a Dino Meneghin

Qual è la prima cosa che ti viene in mente a proposito di Peterson?

Senz’altro l’accento tremendo! Dopo cinquant’anni che è in Italia parla ancora come un marine appena sbarcato, sembra Don Lurio! Scherzi a parte, forse il suo tratto più caratteristico è proprio la capacità comunicativa, l’essersi sobbarcato questo lavoro immenso di divulgazione, non solo della pallacanestro, ma di molti sport americani, che hanno cominciato a diffondersi da noi grazie alle sue telecronache. La NBA, il wrestling, li ha portati lui in Italia. Ha raccontato di tutto, dall’esibizione canina “Il Collare d’oro” a Milano alle corse dei cavalli alle Cascine, bastava pagarlo! Ma soprattutto è il personaggio pubblico più riconosciuto nell’ambito della pallacanestro. Se nomini la pallacanestro a un italiano, immediatamente gli viene in mente Dan: come diceva nel suo spot famosissimo, è sempre il n. 1!

Qual è la sua impresa sportiva che ricordi con più piacere?

Novembre 1986, Coppa dei Campioni, turno preliminare contro l’Aris Salonicco di Nikos Galis. In Grecia, ci strapazzano, perdiamo 98-67 e tutti ci danno per spacciati. Al ritorno, il mitico Dan si inventa questo tormentone: ragazzi, niente paura, dobbiamo solo recuperare un punto al minuto, un punto al minuto, questa è il nostro obiettivo. Noi scherziamo, bella tattica coach, complimenti, un colpo da premio Nobel! Invece, cominciò a ronzarci in testa come un mantra e finimmo per crederci. Il vantaggio saliva, 10, 15, 25 punti, ci fu una lunga altalena intorno ai 30 punti di margine, alla fine vincemmo di 83-49 e il palazzetto venne giù in un boato assordante. Fu la vittoria della volontà, della tenacia, della determinazione, ma anche di quel banale e ovvio scopo che Peterson ci aveva dato.

La proverbiale grinta di Peterson durante un time-out dell'allora Billy Milano

La proverbiale grinta di Peterson durante un time-out dell'allora Billy Milano

Che tipo di allenatore era?

La prima cosa da dire è che Dan mi ha allungato la carriera. Dopo i lunghi anni di Varese, arrivai a Milano nel 1980 già trentenne. Mi fecero un contratto biennale e io mi figurai un altro paio di stagioni ad alto livello. Invece, Peterson mi prese da parte e cominciò a martellarmi: Dino, tu devi pensare di giocare le Olimpiadi di Los Angeles, fra quattro anni. A me sembrava impossibile, all’epoca un giocatore sopra i trent’anni era già considerato finito o quasi. Gli ho dato retta e ho smesso nel 1994! Come coach era soprattutto un motivatore, il suo tratto distintivo era l’insolita capacità di caricare psicologicamente la squadra. Per esempio, se dovevamo incontrare gli arci-rivali della Virtus Bologna, lui saliva il lunedì nel suo ufficio, ne scendeva con dei fogli su cui aveva stampato il logo dei bianconeri e lo appiccava per tutti gli spogliatoi. La domenica dopo toccava alla Scavolini, poi era il turno di Cantù e così via, fino a che diventava naturale impostare l’intera settimana sulla partita da giocare sette giorni dopo. E poi c’era la parte tecnico-tattica. Preparava delle schede, che chiamava “fosforo”, in cui condensava tutti gli schemi delle squadre che dovevamo affrontare, le caratteristiche salienti dei giocatori contro cui avremmo giocato, chi era mancino, chi era destro, chi tirava da fuori, chi preferiva la penetrazione a canestro, quante palle perse, quante stoppate, la percentuale ai liberi e tutto il resto. Ora lo fanno tutti, ma allora lui fu un precursore.

Quindi, non resta che dire: auguri Dan!

Paolo Bruschi