Nel Libano del sud, in particolare nella missione Onu Unifil al confine con lo Stato di Israele è presente ancora oggi un contingente italiano composto da circa 1100 soldati. Tra questi ci sono alcuni toscani, impegnati in diverse mansioni ad ambiti. Durante il viaggio in terra libanese abbiamo modo di incontrarne alcuni impegnati nella base militare di Shama.
Tre militari per tre storie diverse, accomunate da varie esperienze all’estero. Oggi, martedì 22 dicembre, iniziamo con la storia di Fabrizio Marconi. Le altre uscite martedì 29 dicembre e 5 gennaio.
Il maggiore Fabrizio Marconi, 50 anni, di Casciana Terme è capo cellula del nucleo geotac print (geografical tactical print). Il compito del maggiore, laureato in geologia a Pisa e dal 1994 dipendente dell’Igm di Firenze, consiste nel realizzare, elaborare e riprodurre cartografie.
Ha già partecipato a missioni in Libano?
Questa è la mia terza volta: sono stato qui nel 2007, 2008 e 2015.
Quanto materiale è stato realizzato per la missione Unifil?
Nel 2007 abbiamo realizzato la base cartografica standard, sviluppando carte sia stradali, che di territorio, in particolare per le aree minate. Il Libano del sud, infatti è pieno di territori minati e clusterizzati , ovvero aree in cui sono ancora presenti bombe a grappolo lasciate da Israele dopo l’offensiva del 2006.
Qual è il suo compito oggi?
Aggiorniamo quotidianamente la rete stradale con le informazioni che ci arrivano dalle pattuglie Unfil che controllano il territorio. Anche sui territori minati c’è poi da intervenire, visto che se il terreno cede e se piove le mine si spostano e le carte vanno quindi sempre aggiornate.
Il lavoro è ancora lungo e ricco di passaggi. Tutti i dati noi li forniamo ad un ente civile libanese che li aggiorna mensilmente. La zona tuttora più sensibile è senza dubbio quella della Blue Line (la linea di demarcazione tra Libano e Israele a cui missione Unifil lavora da anni, ndr)
A quali altre missioni ha partecipato, quali differenze con quella libanese?
Sono stato tre volte in Afghanistan, una in Iraq e una in Kosovo. I lavori sono sempre diversi, così come le esigenze. Qui c’è un’attività di cooperazione, mentre ad Herat le carte servivano per operazioni sul campo. Come Igm abbiamo realizzato una parte di cartografia dell’Afghanistan che sono è affluita in una banca dati mondiale. Ovviamente anche il territorio in Afghanistan era diverso, perché più desertico. In quel caso abbiamo fatto un incrocio con immagini satellitari e con cartografie standard.
Il mio comunque è sempre stato un lavoro di ufficio, il pericolo lo avverto in misura minore rispetto ad un collega che affronta pattuglie sul campo tutti i giorni. Ovviamente però l’aria di minore tensione in questo teatro operativo, rispetto all’Afghanistan o all’Iraq, dove l’allarme suonava continuamente, è evidente.