Da anni la Siria è vittima di guerra, distruzione e morte. Da anni migliaia di persone fuggono dalle proprie case. Molte di queste trovano riparo in Libano, paese in cui su 4 milioni di persone ci sono più di un milione di rifugiati.
Proprio per aiutare loro è nata Relief and Reconciliation: una Ong impegnata dal 2013 nell’unire il lato umanitario al peace building, facendo incontrare le diverse comunità e identità di libanesi e siriani.
Per aiutare questa realtà la casa del popolo del Pozzale a Empoli organizza per venerdì 4 dicembre una cena a base di specialità arabe e libanesi e una serata dedicata alla spiegazione del progetto e a quello che R&R fa ogni giorno.
Relief and Reconcilation ha iniziato a inserire i ragazzi nel sistema scolastico libanese, con lezioni di sostegno e corsi serali. Per i moltissimi per i quali l’accesso alla scuola non è possibile, è stata aperta una scuola nel 2013, con 14 classi. 340 bambini sono tornati a scuola grazie a R&R e più di 800 hanno seguito i corsi serali, di sostegno e attività psicosociali.
Per capire, o almeno provare a capire, cosa significa lavorare in questo ambiente ho rivolto qualche domanda a Anna, giovane cooperante residente a San Miniato, impegnata da anni nel mondo del volontariato internazionale e per R&R da quando è nata.
Anna sarà presente e racconterà la propria esperienza anche al circolo del Pozzale.
Come sei arrivata a lavorare con la Siria e il Libano?
Ho visitato la Siria per la prima volta nel 2010, e ci ho vissuto per qualche mese, studiando arabo e preparando gli esami per gli studi in Italia. La Siria e i siriani mi sono entrati nel cuore, con la bellezza delle loro città e la gentilezza e profondità di tutti quelli che ho incontrato.
Non mi ero mai sentita così legata ad una terra, un popolo e un mondo prima di allora, e mi sono promessa che la mia assenza sarebbe stata breve, e che sarei presto tornata a viverci. Quando è scoppiata la rivoluzione, con il suo movimento pacifista pieno di speranze, sono voluta tornare. Dopo mesi di repressione nel sangue, però, la rivoluzione è diventata una guerra, e io non sono potuta tornare a trovare i miei amici e i miei posti.
Sono andata a studiare in Giordania, ma sentivo la necessità di fare qualcosa per la gente che mi aveva accolto con tanta gentilezza. Attraverso Padre Paolo dall'Oglio, che avevo conosciuto in Siria e che è stato rapito nel Luglio 2013, ho conosciuto R&R e ho chiesto di diventare una loro volontaria.
Quali sono state e quali sono le maggiori soddisfazioni?
Vivere con i rifugiati siriani è stata una esperienza che mi ha dato tanta luce e tanta speranza. Insegnare ai bambini e vedere quanto sono assetati di sapere e di una routine quotidiana che non ricordi la guerra. Vedere con quanto ottimismo affrontano le difficoltà quotidiana, è una lezione di vita. Come lo è vedere come queste famiglie, che hanno perso tutto e sono arrivate in Libano con i soli vestiti che avevano indosso, che mi accolgono ogni giorno nelle loro tende e mi offrono il loro pranzo, con un sorriso e una gentilezza che è profonda come il dolore che hanno attraversato.
Ho imparato molto da loro, sulla tenacia, sulla voglia di vivere, sul coraggio ma soprattutto sull'empatia. Nonostante non ci sia una tenda che non abbia visto morire un bambino per le cure troppo care, un padre arrestato perché non aveva i documenti, la fame perché non bastano gli aiuti e sono proibiti i lavori, non c'è un dolore troppo piccolo o troppo banale perché non possa essere degno di consolazione e comprensione.
Quali invece le difficoltà più grandi che hai incontrato?
I momenti più difficili sono sicuramente quando la realtà irrompe nella bolla della bellezza della nostra amicizia. Quando scopri che una famiglia non ha più pane per i propri bambini, ma te lo ha nascosto per settimane perché non voleva mancare di rispetto. Quando durante una festa arriva una chiamata e il viso della tua amica diventa di cenere perché il padre è stato trovato torturato e massacrato dalle milizie del regime, o il fratello è morto nei bombardamenti americani, o il cugino ucciso dall'ISIS.
Quando ti rendi conto che la tua presenza può alleviare il dolore per qualche istante, ma che in fin dei conti c'è un abisso tra il mio mondo protetto e il loro.
Sicuramente, il momento più difficile in assoluto è quando devo partire per tornare nel mio paese, nella mia casa, dalla mia famiglia: tutte le cose che loro hanno perduto e che non possono ritrovare. Il momento più difficile è dire addio, e attraversare con un passo, in un solo istante e con una facilità vergognosa, quella frontiera che per loro, senza il mio passaporto europeo, è una barriera insuperabile.
Vuoi tornare in Libano e continuare il tuo lavoro?
Spero di tornare in Libano presto, per riabbracciare le famiglie che ho conosciuto, e per continuare a far crescere questa associazione, ma dopo molti anni all'estero sento anche il bisogno di ritrovare i legami con il mio vecchio mondo italiano.