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Narcos e resistenza in Messico: un’intervista a Daniele Fini, dottorando all’Università di Puebla

Il Congresso 'Comunalidad', foto da facebook

C’è chi la considera una vera e propria guerra interna quella vissuta in molte aree del Messico, paese vittima di una serie di violenze giornaliere, spesso brutali.

Ma in questo contento sanguinario si formano e crescono, un po’ in tutte le aree dello sconfinato stato centramericano esperienze di autogestione e di resistenza notevoli.

Daniele Fini, empolese, sta conducendo un dottorato di ricerca in sociologia all’Università di Pubela, approfondendo in particolare  il ruolo della Polizia Comunitaria nello stato del Guerrero.

Per polizia comunitaria (Crac) si intende l’autorganizzazione di persone che decisero di prendere il mano la gestione della sicurezza delle proprie terre, dal momento che ritenevano che lo stato messicano non svolgesse questa funzione. Dalla sicurezza la Polizia Comunitaria è poi arrivata a gestire autonomamente anche la giustizia: a giudicare chi sbaglia per poi avviare le persone a percorsi di riabilitazione, più o meno lunghi a seconda del reato commesso.

“Lo stato del Guerrero – racconta Daniele  - è uno dei più interessati dalle violenza dei narcotrafficanti, mentre nelle zone del Sud, in cui la Polizia Comunitaria opera questo fenomeno è praticamente inesistente. Il mio studio cerca anche di approfondire questo aspetto”.

Quali possono essere le cause che tengono lontani i Narcos dalle zone controllare dalla Crac e quelle del Chiapas gestite dagli zapatisti dell’Ezln?

Non abbiamo risposte certe ma potrebbe essere che dei gruppi armati organizzati ‘spaventino’ i Narcos  che, potendo scegliere altre zone da cui passare e su cui proliferare preferiscano non addentrarsi in quelle ‘occupate’.

Più di un anno fa il caso dei 43 studenti assassinati a Iguala nel Guerrero ha creato molte sommosse popolari. A che punto siamo oggi?

In un contesto con migliaia di morti all’anno e migliaia di desaparecidos questo fatto non avrebbe dovuto avere l’eco che in realtà ha fortunatamente acquisito nei mesi. Il Messico si stava come abituando alla violenza e con questo fatto è come se avesse preso una nuova coscienza. Alcuni risultati ci sono stati: da manifestazioni in tutto il paese, alla caduta del governatore, fino a municipi occupati. Per la prima volta da almeno sei-sette anni la gente ha iniziato a rendersi conto che si può alzare la testa. Sintomo di questo è lo slogan che è stato utilizzato durante tutti i cortei ‘Fue el estado’, riconoscendo in questo modo una colpa del pubblico.

Questa relazione tra Narcos e stato esiste, se esiste, secondo il tuo punto di vista?

Ci sono tanti studi che sottolineano alcuni aspetti interessanti. Una spiegazione che è stata elaborata è che impaurire la gente a tal punto da farla scappare giovi in gran parte alla multinazionali, che possono così utilizzare le risorse lasciate libere e senza controllo. Altra ipotesi è che la militarizzazione del paese sia funzionale alla repressione degli oppositori politici e dei leader dei movimenti contadini. Purtroppo in molte zone i cartelli si comportano come dei veri ‘ammortizzatori sociali’. I contadini preferiscono lavorare per i Narcos, producendo oppio, invece che produrre per il mercato legale, dal momento che non rende e che non potrebbero sfamare la famiglia.

Com’è la situazione a Puebla e a Città del Messico?

Dove mi trovo io è molto tranquilla. Nella capitale ci sono zone più complicate ma comunque non c’è la violenza di altre aree. Certo è che i giornalisti non sono sicuri in nessun luogo. Le violenze sono all’ordine del giorno e anche poco tempo fa hanno minacciato Gloria Munoz , una delle penne più famose del Messico.

Ci sono novità dal fronte del riconoscimento delle comunità indigene?

Recentemente si è svolto un convegno organizzato dall’istituto di scienze sociali e umanistiche dell'università di Puebla (ICSyH-BUAP), incentrato sulle comunità indigene che aveva come obiettivo quello dialogare sui movimenti sociali messicani. Hanno partecipato circa 350 persone, provenienti dalle esperienze più disparate del paese. Dal lavoro è emerso un documento con alcune linee guida sul riconoscimento delle comunità indigene e sulle realtà autonome messicane.

 

 

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