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Unico, sempre a cento all'ora, una persona buona: addio Antonio

Antonio Bassi

Quando una persona con la quale hai trascorso momenti importanti della tua vita viene a mancare è difficile ricordarla. È difficile perché c'è il rischio di scivolare nel sentimentalismo, di non essere obiettivi, di parlare in prima persona, di non avere insomma quel distacco necessario per offrire a chi legge un ritratto veritiero della persona della quale si sta parlando. Con Antonio capita proprio questo e nel momento in cui ci ha lasciati e che ci si trova davanti alla tastiera, la prima cosa che pensi è: se alla fine rileggesse il pezzo come quando era il capo che direbbe? Ad avviso di chi scrive c'è un solo modo per trovare una risposta positiva, dire la verità su di lui, non esagerare nei toni come troppo spesso capita quando c'è un lutto, raccontare un personaggio che non è esagerato definire per certi versi unico.

Antonio era anzitutto una persona perbene, una persona onesta che amava la vita e che dalla morte si è fatto trovare vivo. Ha vissuto sempre col piede schiacciato sull'acceleratore in tutti i sensi vista la sua passione per le auto e la velocità (una volta Nadia, allora segretaria dell'Empoli Calcio, non credeva ai suoi occhi quando lo vide a Empoli dopo una trasferta a Bari prima della squadra che era tornata in aereo) e nemmeno il pit stop di qualche anno fa per una ischemia lo aveva frenato più di tanto in strada ed a tavola.

"Sono oltre 30 anni che non vado a cena a casa", disse una sera. Chiudeva il giornale, prendeva un aperitivo al Viti, tornava in redazione a guardare la Tv, faceva il giro di nera e poi partiva per la cena chissà dove, da 'gente della notte' come è sempre stato e come racconta Jovanotti ("la gente della notte fa lavori strani... camionisti, metronotte, ladri e giornalisti"). Quando si tornava dalle trasferte dell'Empoli, immancabile attorno alle 20.30 arrivava la chiamata del suo amico professor Mascio: "Grande capo dove sei? Si va a cena?". Se la distanza lo permetteva, Leandro si faceva trovare in redazione e da lì via coi piedi sotto al tavolo. Poi lo riportava a casa e lui ripartiva per chissà dove.

Al cinema Antonio andava a Viareggio perché sosteneva che faceva prima rispetto a Firenze e non si poteva provare a dirgli che aveva torto, tanto era inutile. "Arrivo in passeggiata, parcheggio la macchina davanti al cinema, guardo il film, mangio un pezzo di pizza a torno a casa". Forse non tutti lo sanno, ma era laureato in filosofia (laurea grazie alla quale aveva a lungo insegnato a scuola prima di passare a fare il professionista a La Nazione) e quando a volte tornava dalle riunioni del Cdr a Bologna diceva sorridendo: "Boh, io sono dottore eppure chiamano dottore tutti quei direttori che ci sono e che spesso non lo sono e me no".

Aveva un amore sviscerato per l'Empoli calcio. Silvano Bini gli fece anche allenare una squadra giovanile tanti anni fa e l'azzurro è sempre stata la sua passione, forse anche il tallone d'Achille perché non riuscivi mai a fargli dare un quattro a qualcuno ed a volte capitava di dirgli: "Antonio, mica avrai esagerato con questi voti?" ma lui niente, non ne voleva sentir parlare, non ce la faceva davvero, perché in fondo nella fede calcistica c'è sempre qualcosa di irrazionale e poi perché Empoli era la squadra della sua città non di nascita ma sicuramente di adozione, una città che amava tantissimo ed alla quale ha dato tanto ricevendo altrettanto in cambio. Una vita a cento all'ora, da scapolo imperterrito, con la mamma scomparsa qualche anno fa (il padre era morto molti anni prima) che pur di vederlo sposato gli avrebbe fabbricato lei la moglie. Ma come poter pensare ad Antonio con la compagna accanto davanti al camino dopo cena in pantofole e magari il cagnolino a vedere la tv? Impossibile.

Anche se aveva un carattere non facilissimo, non si poteva non volergli bene perché era una persona buona. È morto come si temeva un giorno potesse morire, ma ora che è successo il colpo è comunque durissimo. Ci consolano due cose: il fatto che la vita se la sia goduta e gli abbia regalato tante soddisfazioni e il fatto che la morte l'abbia trovato vivo. Addio Antonio, è il saluto commosso di una città e di tanti amici che non ti dimenticheranno mai.
Il pezzo è fatto Antonio, dagli un'occhiata e se va bene mandalo pure via te.

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