Ultimo appuntamento del mese di ottobre con i Toscani in Giro. Stavolta torniamo a Londra via Valdelsa per raccontare la storia di un ingegnere informatico di Poggibonsi, Matteo Scordino, che dopo la laurea ottenuta all'ateneo pisano ha trovato fortuna nella City. Leggiamo la sua scheda e il suo racconto per meglio capire la sua figura.
Nome e Cognome: Matteo Scordino
Anni: 33
Cresciuto a: Poggibonsi
Studi: Ingegneria Informatica a Pisa
Residenza e professione: Londra – Responsabile Progettazione Software in una startup di wearable devices
Lavoro in Italia: Progettista software per display aeronautici, poi per il settore Oil & Gas
Prima esperienza all'estero: La tesi di Laurea in NXP Semiconductors, ad Eindhoven
Perché ha deciso di andare all'estero?
In parte perché ho sempre avuto la 'fregola' di girare: da quando ho finito le superiori non ho più abitato a Poggibonsi, nonostante visitassi spessissimo i miei. All’università provai anche ad andare in Giappone, a Osaka, ma mi andò buca. Quella che ha fatto traboccare il vaso è stata una serie di coincidenze: l’offerta di un’avventura in una startup fondata da un ex-collega è arrivata insieme a un grosso incidente sullo snowboard che mi ha tenuto a letto un mese e mezzo. In quel periodo di fermo ho accumulato così tanto odio per la stasi che poi sono partito a razzo, poco dopo aver ricominciato a camminare!
Quali sono le principali differenze fra il mondo del lavoro italiano e quello estero?
Per me è un po’ difficile fare un paragone diretto perché contemporaneamente all’espatrio sono anche passato da un ambiente corporate a una startup di coetanei. Questo implica che la flessibilità è totale (orari inesistenti, nel bene e nel male; le ferie sono illimitate e a discrezione, ma è anche OK fare le 4 di notte, quando serve) e che la responsabilità è totale: se andiamo male, andiamo all’aria, per cui tutti lavorano sentendo una partecipazione diretta nell’impresa. Quello che posso dire è che non mi immagino una società come la nostra nascere e crescere nello stesso modo in Italia; da quando sono arrivato (un anno fa) siamo passati da 4 a 24 persone, con investimenti privati e poche scartoffie. Per fare un esempio, una busta paga qui è composta di 2 righe. In Italia erano 2 facciate.
La vita e il lavoro all'estero sono diversi dall'idea che ti eri fatta prima di partire?
Non molto, avevo già un’idea abbastanza precisa; per la tesi avevo fatto uno stage in Olanda quando ero all’università, quindi avevo già avuto un contatto con il mondo del lavoro “non mediterraneo”. Quello che non mi aspettavo è la varietà di persone e di professioni diverse con cui mi trovo a lavorare quotidianamente, l’effetto “silos” è nullo e mi succede di lavorare con creativi, ingegneri, neuro-scienziati, esperti di marketing; venendo da un ambiente lavorativo puramente industriale, sembra un parco giochi!
Cosa ti manca dell'Italia?
Famiglia e amici prima di qualunque altra cosa. Adoro il nostro cibo, le nostre bellezze, ma la varietà di vivere in un luogo diverso mi basta per compensare. Quello che non si compensa facilmente sono le persone lontane.
Torneresti a lavorare in Italia?
Lavoro interessante ci sarebbe, sono sicuro; l’esperienza lavorativa che ho avuto in Italia è quasi del tutto positiva. Ho avuto la fortuna di lavorare su progetti interessanti, di avere capi e colleghi che stimo e dai quali ho imparato tecnicamente e, spesso, anche a dare qualche aggiustatina al mio carattere. Sul lavoro, per esempio, sono nate amicizie che resistono dopo anni di lontananza. Tornare ora, però non avrebbe molto senso; qui ho un lavoro che adoro ed economicamente sarebbe un discreto passo indietro. In più, la “fregola di girare” c’è ancora!
Hai qualche aneddoto sulla permanenza all'estero?
Diversi, alcuni irripetibili. In genere la fonte inesauribile di aneddoti, vivendo in una città multicolore come Londra, è l’incontro di differenze culturali. Nella nostra azienda abbiamo al momento 18 passaporti diversi, per cui capita di insegnare a un Brasiliano che “Supercazzola” è un nome più che legittimo per un progetto nuovo ancora da battezzare. O di scoprire che il collega Pakistano, mentre osserva il Ramadan, appende poster di dolci e gelati in faccia al vicino Saudita per indurlo in tentazione e spartire la pena del digiuno. Di recente mi viene in mente un matrimonio fra amici Svedesi, che per me, unico Italiano fra 80 vichinghi, è stata una fiera di usanze sorprendenti. Per citarne qualcuna: shot di grappa in chiesa insieme al lancio del riso; lo sposo e la sposa che si devono fare la guardia, perché tutti gli uomini hanno diritto a baciare la sposa se lui non vigila (e viceversa); l’esistenza di un “mastro brindisaio”, che vigila sul corretto susseguirsi degli 80 discorsi, seguiti dagli 80 brindisi al grido di “skål!”.
Se vuoi aggiungere qualcosa di te, sulla tua storia, particolari curiosi da poter far emergere nell’articolo.
Un dettaglio della cultura inglese a cui non mi adatterò facilmente è il netto sentimento di non essere europei. E’ comune sentir dire “ho un amico che vive in Europa”, “ah, vero, in Europa fate così…” Per me ogni volta è un piccolo brivido; io mi vorrei sentire un Europeo in tutto e per tutto. Vorrei poter specificare che sono un Italiano un po’ come ora specifico che sono un Toscano: più per colore che per legge. Il fatto che la cultura inglese non senta questa identità comune mi fa sentire un po’ più straniero di quanto vorrei…
