OMELIA
"Celebriamo la nascita della Vergine Maria. In un piccolo villaggio alla periferia dell’Impero, Nazaret, posto marginale perfino per la Galilea, viene alla luce una bambina, che dalla nascita, anzi, fin dal concepimento, era stata preparata da Dio, libera da ogni peccato, per rispondere con un fedele sì alla sua volontà, farsi serva del Signore, pronta ascoltatrice ed esecutrice della sua parola, spazio accogliente per Dio che vuole venire tra noi. Con la nascita di questa bambina, prende forma il grembo che accoglierà nella sua germinazione verginale l’umanità del Figlio di Dio.
Di fronte al mistero della vita di Maria che si dischiude a questo mondo, siamo richiamati a riflettere anzitutto sul valore della vita in sé, della vita dei bambini in particolare.
Dobbiamo aiutare a riconoscere in ogni nascita un miracolo, un dono d’amore, contrastando una cultura diffusa che ne svilisce il mistero e ne deprezza il valore.
La vita come dono è una delle evidenze che rischiamo di perdere, tra chi vuole disporne a suo piacimento, slegandola dalla sorgente pura che ne è l’amore coniugale, per farla diventare un oggetto da produrre in forme sempre più tecnicizzate e quindi disponibili, e chi la tratta come una realtà puramente biologica, priva del valore e della dignità personale, di cui quindi ci si può disfare se ostacola la vita dell’adulto o se la società si mostra incapace di sostenere l’adulto nell’accoglierla.
Ma questa nascita, la nascita di Maria, racchiude in sé un valore ulteriore, quello di una promessa, perché in essa sono poste le radici di un evento che sarà decisivo per la storia del mondo, la nascita del Figlio di Dio fatto uomo. La nascita di Maria reclama quindi particolari sentimenti di venerazione e di gratitudine.
In questa nascita la città di Firenze ha voluto porre il germe dell’edificazione della sua cattedrale, quasi a porre in continuità il farsi del corpo di Maria con il farsi dell’edificio della sua lode al Signore, che nel programma teologico che racchiude piazza del Duomo è appunto pensato come il grembo della Chiesa/Maria che accoglie i credenti per inviarli nel mondo. Non dimentichiamo mai questo volto mariano della nostra fede e della nostra storia,a cui mi sento particolarmente legato da quando proprio in questo giorno, sette anni fa, fu annunciata la mia nomina ad arcivescovo di questa città.
Per aiutarci a comprendere questo mistero la liturgia della Chiesa propone la proclamazione della prima pagina del vangelo di Matteo, quella a cui l’evangelista stesso dà un titolo, quello di “genealogia – cioè origine – di Gesù Cristo”. In questo elenco di nomi, come in tutte le genealogie dei tempi antichi, prevalgono le figure maschili.
Nell’Antico Testamento le genealogie costituiscono uno strumento con cui si intende mostrare la continuità della presenza di Dio nella storia del suo popolo e dei suoi singoli membri. E, secondo i canoni dell’epoca, erano gli uomini a segnare con le loro persone i passaggi di questa storia.
È una storia che, per Gesù Cristo inizia dal capostipite del popolo ebraico, Abramo e si snoda, da uomo a uomo, in tre fasi, segnate dal duplice passaggio del sorgente della regalità in Davide e del suo fallimento umano con la deportazione di Babilonia.
Gesù è inserito nella storia del popolo eletto e, come lo stesso evangelista sottolinea, egli si presenta quale “figlio di Davide, figlio di Abramo”, erede delle rispettive promesse che Dio aveva confidato al padre del popolo d’Israele e al fondatore della dinastia regale.
La promessa di benedire in Abramo tutti i popoli della terra trova in Gesù il suo compimento, come sempre in Gesù si compie la promessa fatta a Davide di trarre dalla sua discendenza il re-messia posto a salvezza dei popoli.
La storia di cui Gesù è erede non è una storia lineare, essa è attraversata da ostacoli e sofferenze, in cui si inseriscono in modo risolutivo alcune donne che, in modo inusuale per i tempi antichi, troviamo ricordate e con rilievo: Tamar, che costringe il suocero Giuda a restare fedele alla promessa perché sia data posterità alla tribù del futuro messia; Racab, una cananea, quindi una straniera, e inoltre una prostituta, per cui nulla, neanche la differenza etnica e religiosa e neppure il peccato, resta estraneo al progetto di Dio, che tutto redime con la sua misericordia; Rut, la straniera che introduce negli immediati progenitori di Davide l’orizzonte dell’universalità dei popoli; Betsabea, colei che, moglie di Urìa, era stata oggetto del desiderio di Davide e quindi occasione del suo peccato, ma anche che gli darà il figlio figura stessa della sapienza in Israele.
L’ultima figura femminile è quella di Maria, perché se tutta la genealogia converge verso Giuseppe – si tratta infatti della genealogia del padre putativo di Gesù –, la nascita di Gesù non si inserisce in un legame di sangue con Giuseppe.
Questi offre a Gesù la collocazione giuridica in Israele, ma la vita gli viene dalla donna che ha accolto lo Spirito di Dio, da Maria, a cui si deve quindi la svolta fondamentale perché la storia umana possa diventare accogliente della presenza di Dio nel suo Figlio.
Lo scarto dell’ultimo passaggio generazionale – Giuseppe non generò Gesù, egli è soltanto “Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù chiamato Cristo” –, questa formula porta con sé un mistero grande, che viene illustrato dal racconto successivo, quello dell’annuncio a Giuseppe della nascita di Gesù; è uno scarto narrativo che introduce nella catena delle generazioni la figura di una donna, Maria, che diventa il tramite della presenza corporea di Dio in mezzo all’umanità. È da lei infatti che “è nato Gesù”.
Mentre dunque celebriamo la nascita di Maria la Chiesa già ci orienta verso la nascita del Figlio, il fiore che sboccia dal suo grembo. Mentre loda il Signore per la nascita di Maria, la Chiesa si preoccupa di far volgere il nostro sguardo sul suo Figlio, così che da subito il nostro rendere grazie a Dio per la venuta al mondo della Vergine sia posto in connessione con la vocazione della sua vita, dare cioè alla luce nel tempo il Figlio di Dio.
Maria entra nella storia degli uomini per farsi strumento dell’ingresso in questa stessa storia del Verbo di Dio fatto uomo. Così che, mentre guardiamo a Maria, siamo al tempo stesso proiettati verso la persona del Figlio, e di ambedue poniamo in risalto il loro radicarsi nella storia umana.
La storia dell’uomo, ieri come oggi, non è estranea a Dio, ma è il corpo in cui egli innesta la sua salvezza, servendosi delle storie personali di tanti singoli uomini e donne, di ciascuno di noi.
Sentire Dio non lontano ma immerso nella nostra storia è dunque il messaggio di fede che viene da questa pagina evangelica, apparentemente tanto arida da assomigliare a un registro di anagrafe, in realtà così densa di messaggi di fede intorno alla natura stessa di Dio, alla persona di Gesù, alla figura di Maria, al nostro sentirci coinvolti in una storia di salvezza.
È una storia, quella umana, che chiede anche a noi oggi lo stesso affidamento a Dio che Maria sperimentò lungo tutta la sua esistenza. Di fronte ai non pochi problemi che i nostri tempi propongono, nella vicende personali e sociali, chiedendoci di lasciarci coinvolgere fin nelle grandi trasformazioni epocali di cui profughi e migranti sono segno ed effetto, siamo chiamati a sentirci strumenti della misericordia e dell’accoglienza di Dio.
Si tratta di non chiuderci in noi stessi e nei nostri egoismi, ma di aprirci al Dio che irrompe nella nostra vita con il volto dei fratelli: tutti fratelli, anche quelli che vengono da lontano, come Racab o come Rut. Non ci manchi la forza della carità e la fiducia in una missione che il Signore ci chiama a svolgere, ancora una volta in difesa della vita dei più fragili e poveri".
Fonte: Ufficio Stampa Diocesano