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In Cina ad insegnare l'italiano, la storia di Andrea Iacopini: "Dall'Italia mi hanno spinto ad andar via"

Andrea Iacopini

Ha lasciato l'Italia per andare in Cina ad imparare la lingua, ma ci è rimasto per oltre un anno e mezzo a fare l'insegnante di italiano e inglese.

È la storia di Andrea Iacopini, 29 anni, nato a San Miniato e cresciuto a Empoli, che nel settembre 2013 ha fatto i bagagli per frequentare la Beijing language & cultural University di Pechino, ma che poi, in quel paese, ci è rimasto per fare l'insegnante a ragazzi ed adulti, sia in centri linguistici che istituti scolastici pubblici.

Un viaggio che però porta dietro di sé le difficoltà e le contraddizioni di un paese, l'Italia, che per Andrea non ha fatto nulla per trattenerlo, un paese “che ha ormai fatto il suo tempo”.

“Mi sono sentito spinto ad andar via”, sono queste le parole, amare, con cui Iacopini racconta la sua esperienza. Diplomato al professionale, settore alberghiero, ha svolto alcuni lavoretti, ma senza riuscire mai a trovare un minimo di stabilità. A quel punto Andrea ha deciso di imparare una lingua, il cinese, nell'intenzione di poter usare questa conoscenza in Italia.

“Sono partito per motivi di studio, convinto di voler tornare in Italia. La Cina è una delle economie più importanti al mondo e qui abbiamo una forte comunità cinese. Per questo motivo pensavo che potesse essere un modo per ampliare le mie capacità e trovare lavoro”.

Conoscendo appena la lingua, aveva solo seguito qualche lezione, è arrivato a Pechino per studiare, ma è riuscito anche ad ottenere una serie di 'teaching job' part-time, i lavori più comuni per chi viene a lavorare qui.

L'impatto con la lingua, ovviamente, non è stato facile: “Qui l'uomo comune parla solo cinese e i primi mesi è stato abbastanza difficile. Ora, però, posso dire di essermi ambientato”

Partito da Empoli un anno e mezzo fa, ha lasciato dietro di sé quella che definisce “una situazione drammatica” per scoprire, invece, un mondo in cui le capacità e l'impegno vengono riconosciuti, soprattutto se sei un'occidentale, soprattutto se sei un'italiano.

“Non sono mai stato un bravo studente – spiega - e ora mi trovo qui a fare l'insegnante. Qui vieni valutato per quello che sai fare e vieni apprezzato, soprattutto se sei un 'viso pallido'. Qui tutti vogliono imparare l'inglese, ma con mia sorpresa mi sono accorto che molti vogliono conoscere anche l'italiano”.

Ed è proprio un misto di rabbia e orgoglio quello che contraddistingue l'esperienza di Andrea quando si parla di Italia: “Qui l'italiano è apprezzato quasi come un idolo. Essere italiano qui non è come essere un francese o un tedesco. Non ci si rende conto di quanto il mondo apprezza il nostro paese fin quando non si mette piede fuori”.

Da una parte, quindi, l'orgoglio di essere italiani, dall'altra la rabbia per quel “gioiello” di cui non sappiamo fare tesoro

“L'Italia – conclude – è un paese bellissimo, ma non sta cambiando niente e non vedo prospettive di miglioramento. Penso sia utile andare all'estero, per tornare con uno spirito critico rinnovato”.

Purtroppo Andrea dovrà fare ritorno in Italia: il suo è un visto da studente, il che lo obbliga a lasciare la Cina. La legislazione cinese, infatti, concede un visto lavorativo solo se si è laureati.

“Se qui hai una laurea e almeno due anni di esperienza lavorativa in occidente, stai sicuro che lavori. Qui sono affamati di cultura occidentale e se hai capacità ti vengono riconosciute. I salari, inoltre, sono molto buoni, anche se è richiesto un forte spirito di sacrificio a cui noi occidentali non siamo abituati"

“Se potessi – conclude – non tornerei mai più a Empoli. Spero vivamente di ritornare in Cina dato che l'Italia continua a non offrire possibilità di nessun tipo a chi ci abita

Ad Agosto scadrà il visto, Andrea ha già in mente, dopo un anno di studio e di lavoro, di concedersi un viaggio di piacere nell'Est della Cina.

Il viaggio, in ogni caso, è un'esperienza che ti cambia la vita: “Quello che ho scoperto è che viaggiare e cambiare se stessi è possibile, si può' fuggire dalla staticità del nostro paese, ma dobbiamo operare prima una rivoluzione dentro noi stessi. Ma è più facile di quanto si pensi”

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