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Il Roland Garros durante la II guerra mondiale, una storia nascosta

Il torneo di tennis francese non cessò l'attività durante l'occupazione nazista, anche se le edizioni dal 1941 al 1945 non figurano nell'albo d'oro ufficiale

La maggioranza degli aficionados che ogni primavera inoltrata assiepa le tribune per assistere agli Open di Francia non si chiede o ignora chi fosse Roland Garros, cui sono intitolati gli impianti dove si tengono gli incontri. Se interrogati, molti rispondono che si trattava di un precursore della racchetta o di un vecchio presidente della federazione. Per questo, una mostra aperta durante i campionati spiega che Garros è stato un eroe della “Grande Guerra”, pioniere francese dell’aviazione, autore della prima trasvolata del Mediterraneo, ma soprattutto un valente pilota di caccia sul fronte occidentale, abbattuto e morto nelle Ardenne nel 1918. Il torneo gli è dedicato dal 1928 e il nome non è l’unico legame che lo Slam francese intrattiene con le guerre del secolo scorso. Così, mentre Novak Djokovic tenta di strappare lo scettro di sovrano del rosso a Rafa Nadal nell’edizione che si disputa a settant’anni dalla fine del secondo conflitto mondiale, è interessante andare alla ricerca delle relazioni che intercorrono fra la guerra del 1939-45 e il major parigino.

L'aviatore Roland Garros

In primis, occorre notare una banale coincidenza temporale: per il fatto di svolgersi fra la fine di maggio e l’inizio di giugno, le finali coincidono spesso con le celebrazioni dello sbarco in Normandia del 6 giugno 1944. Più significativamente, non è a molti noto che lo stadio degli Internazionali francesi inaugurò un triste rituale diverse volte ripetutosi nel Novecento, ossia la trasformazione delle strutture sportive in luoghi di prigionia improvvisati, il cui caso più eclatante fu senza dubbio lo stadio di Santiago del Cile, dove furono internati gli oppositori del generale Pinochet dopo il golpe del 1973 ai danni del presidente Salvador Allende. Negli impianti del Roland Garros, nel periodo fra l’invasione della Polonia da parte della Germania e fino al giugno 1940, nei mesi che vanno sotto il nome di drôle de guerre (la sostanziale stasi militare fra i paesi belligeranti che riposava sull’illusoria impenetrabilità della linea Maginot), il Roland Garros divenne un centro di detenzione per gli stranieri sospettati di simpatie antifasciste o filosovietiche. Vi furono internati soprattutto tedeschi, austriaci e italiani, ma anche ebrei, come lo scrittore Arthur Koestler, che ne parlò nel suo La schiuma della terra (Il Mulino, 2005). Come cavernicoli, i detenuti vivevano nell’oscurità sotto le gradinate dello stadio, dormivano su giacigli di paglia maleodoranti, stipati come sardine: «Pochi di noi sapevano qualcosa di tennis» scrive Koestler «ma quando ci permettevano di uscire all’aperto, vedevamo i nomi di (Jean) Borotra e (Jacques) Brugnon sul tabellone». I due tennisti citati nel romanzo componevano, insieme a Henri Cochet e René Lacoste, i celeberrimi "Quattro moschettieri" che dominarono il tennis mondiale fra gli anni ’20 e ’30 del Novecento, fra l’altro garantendo alla Francia sei successi in Coppa Davis e accumulando ben venti successi negli Slam.

Brugnon, Cochet, Lacoste e Borotra, i quattro moschettieri del tennis francese

La notazione del libro conferma un fatto spesso sottaciuto o rimosso, vale a dire la continuazione dell’attività sportiva, e tennistica in particolare, durante il periodo del regime del maresciallo Petain. Dopo che la Wehrmacht era sfilata il 14 giugno 1940 per le strade mute e deserte di Parigi, la Francia umiliata accettò la sconfitta e l’occupazione nazista. Cominciò allora una fase di normalità assai peculiare, durante la quale i teatri, i cinema e i locali notturni ripresero la consueta programmazione, al pari delle altre attività di tutti i giorni, e che è stata a lungo narrata attraverso gli opposti e complementari miti della feroce prepotenza nazista e dell’indomita resistenza dei maquisards. Solo molti anni dopo la liberazione, una corrente storica discordante ha contestato questa narrazione polarizzata, svelando una realtà quotidiana intrisa di ambiguità e precari equilibrismi morali, in cui si collocano anche i campionati di tennis disputati fra il 1941 e il 1945, i cui risultati, si noti bene, non figurano negli albi d’oro ufficiali del Roland Garros, come chiunque può verificare visitando il sito dei cosiddetti campionati mondiali su terra battuta.

L'incontro fra Petain e Hitler a Montoire-sur-le-Loir dopo l'armistizio franco-tedesco

Dopo la resa francese, il tennis riprese immediatamente vigore in virtù della nomina dello stesso Borotra a Commissario Generale all’Educazione fisica e allo Sport. In carica dall’agosto 1940, il campione che giocava indossando il basco, intraprese uno sforzo vigoroso per rigenerare la decaduta grandeur nazionale attraverso lo sport e l’esercizio fisico. Caduto in disgrazia agli occhi degli occupanti, che dubitavano della sua fedeltà ai principi conservatori del regime di Petain, Borotra fu poi arrestato e deportato in Germania: sarebbe stato infine liberato al termine della battaglia per il Castello di Itter, combattuta cinque giorni dopo il suicidio di Hitler da reparti corazzati americani, fiancheggiati da truppe tedesche anti-naziste, contro una divisione di SS irriducibili.

Sotto la supervisione di Borotra, e di Lacoste, il quale occupò la posizione di presidente della Federazione nazionale fino al 1943, un circuito tennistico in piena regola fu allestito negli anni della guerra, nonostante un rapporto della stampa americana di allora rivelasse che fra i termini dell’armistizio franco-tedesco figurava la messa al bando della produzione di palline da tennis, un bando che in effetti si riferiva ai prodotti in gomma in generale. Nel dicembre 1940, un torneo open ante-litteram si tenne nella capitale, consentendo ai professionisti come Cochet di competere contro i dilettanti – va ricordato che solo nel 1968 la Federazione internazionale di tennis consentì libero accesso al circuito ai professionisti. Il Roland Garros, invece, riaprì i battenti nel 1941, ancorché come competizione riservata ai soli francesi e ai tennisti provenienti dai territori occupati dalla Germania. Il singolare maschile fu appannaggio di Bernard Destremau, che bissò il successo l’anno dopo. Nel 1943, la coppa dei moschettieri fu conquistata da Yvon Petra, che uscì da un campo di prigionia tedesco per superare nell’atto conclusivo l’ultraquarantenne Cochet. La stessa finale andò in scena l’anno seguente: mentre gli alleati si facevano sanguinosamente strada verso Parigi, folle plaudenti e verosimilmente ignare stiparono gli spalti del Roland Garros, assistendo al bis di Petra contro l’immarcescibile Cochet.

Cochet e Petra prima della finale del Roland Garros del 1943

Né si deve pensare che Destremau e Petra, cui arrise anche il primo titolo dopo la fine della guerra, fossero degli intrusi del tempo di guerra, assurti alla gloria tennistica per la latitanza dei maggiori campioni dell’epoca. Al contrario, nel 1946, Petra fu l’ultimo francese a fregiarsi del prestigioso titolo di Wimbledon e anche l’ultimo a vincerlo indossando i calzoni lunghi, come si conveniva ai gentlemen d’inizio secolo. Destremau, dal canto suo, in coppia con il connazionale, aveva già vinto il doppio ai campionati francesi del 1938, sconfiggendo gli americani Gene Mako e Don Budge, nell’anno in cui quest’ultimo realizzò il primo Grand Slam della storia, vincendo il singolo in tutti e quattro i tornei maggiori.

Al pari del rigoglio di artisti, attori e scrittori nei dubbi anni del governo collaborazionista di Vichy, le vicende del Roland Garros nello stesso periodo alzano dunque il velo su un controverso momento storico, durante il quale la Francia sconfitta cercava di ritagliarsi un posto nel nuovo ordine europeo, che, si pensava, sarebbe stato egemonizzato dal Terzo Reich.

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