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Quel gol di Facchetti al Liverpool, anticipazione di calcio totale

Era il maggio del 1965 e nella semifinale di Coppa Campioni contro gli inglesi, la modernità del terzino neroazzurro emerse in tutta la sua evidenza

Un libero e un terzino si scambiano serenamente la palla nel cuore dei sedici metri avversari. Il più esperto dei due esegue addirittura un irridente colpo di tacco. La Coppa del mondo è in palio e non si è mai vista una cosa del genere, né si vedrà in futuro. L'altro, nonostante porti degli ingombranti baffoni che lo invecchiano visibilmente, è ancora un adolescente. Paiono indifferenti al ruggito eccitato dei centomila che guardano la partita, né sembrano in ambasce per la pressione dei difensori nemici. Non possono rivolgere la mente a questo pensiero, ma entrambi si muovono sulle orme di un venerabile capostipite.

Non sono Nilton Santos e Djalma Santos, neppure Cafu e Roberto Carlos, con le maglie giallo-oro della Seleçao. Indossano una maglia azzurra e parlano italiano. Finalmente, la palla viene indirizzata con decisione verso il limite dell’area, dove un potente diagonale sinistro la rispedisce perentoriamente in fondo alla rete, con il portiere immobile.

La rete di Marco Tardelli contro gli abituali rivali della Germania sigillò la terza Coppa del mondo dell’Italia e il suo grido belluino divenne uno dei momenti più significativi dei Mondiali del 1982. L’uomo che fornì l’ultimo passaggio era però l’elegante e talentuoso Gaetano Scirea, il legittimo erede di Giacinto Facchetti, un altro giocatore rinomato per la classe e la sportività.

Se Scirea e Giuseppe Bergomi, il novellino con i baffi uscito dal vivaio dell’Inter, sorpresero avversari e osservatori fungendo da attaccanti aggiunti in una squadra largamente conosciuta per il suo stile difensivistico, il regale Facchetti emerse contro-intuitivamente nell’era del catenaccio come l'antesignano della stirpe di fluidificanti che avrebbero caratterizzato il periodo del “calcio totale”. Alto quasi 190 cm e capace di correre i 100 metri piani con un tempo da sprinter olimpico, Facchetti esitò a lungo fra la tentazione di una carriera sulle piste di atletica e il fascino del ruolo di centravanti. Poi, arrivò Helenio Herrera e ne fece il perno dell’Inter che avrebbe dominato il calcio italiano, europeo e mondiale alla metà degli anni ’60.

Facchetti con Helenio Herrera

La sua tecnica raffinata e la velocità di base, insolite in un giocatore di quella taglia, l’abilità nel leggere tatticamente la gara e il senso spiccato della posizione gli aprirono le porte della metà campo avversaria, in un tempo in cui i terzini erano rigidamente consegnati al presidio costante della propria porta. Come scrive John Foot in Calcio. 1898-2007. Storia dello sport che ha fatto l'Italia (Rizzoli, 2007): «Trent’anni prima dell’introduzione delle sovrapposizioni sulle ali, le volate di Facchetti su e giù per la fascia facevano di lui un perfetto difensore e un attaccante aggiunto». Rivoluzionò il calcio, coprendo, proponendosi in avanti e segnando a ripetizione. Stabilì il record di gol segnati da un difensore, infilandone 10 nel 1965-66. Fu superato da Daniel Passarella vent’anni più tardi, che ne segnò 11 ma tirando 5 rigori, e infine da Marco Materazzi, che arrivò a 12 con 7 rigori nella stagione 2000-01.

Esattamente cinquant’anni fa, il 12 maggio 1965, Facchetti rese evidente in grande stile il ruolo cruciale che occupava nell’Inter di HH, in occasione della gara di ritorno della semifinale di Coppa dei Campioni. Quanto è ricordato dai fan inglesi con amarezza e rabbia per un paio di presunti errori dell’arbitro spagnolo Jose Maria Ortiz de Mendebil, per la Beneamata e i suoi tifosi rappresenta il punto più alto del catenaccio e del gioco di rimessa.

Una settimana prima, il Liverpool aveva superato gli interisti per 3-1 ad Anfield Road. Dopo che Sandro Mazzola aveva silenziato gli entusiasmi dei padroni di casa pareggiando prontamente il precoce vantaggio realizzato da Roger Hunt, Ian Callaghan e Ian St. John rilanciarono i Reds, alimentando le legittime speranze degli uomini di Bill Shankly di diventare la prima squadra britannica a disputare la finale del maggior torneo europeo per club, che fino ad allora era stato un feudo esclusivo delle formazioni dei paesi neo-latini. Il risultato dell’andata era promettente per due ragioni: il Liverpool aveva segnato tre gol quando l’arcigna difesa milanese ne concedeva a malapena uno e l’attacco dei neroazzurri non era particolarmente prolifico. C’erano dunque buone probabilità di uscire da San Siro con il biglietto per la finale.

In realtà, il Liverpool fu spazzato via come una foglia al vento. Gli inglesi protestarono per due decisioni del direttore di gara, reo secondo loro di aver fischiato una punizione di seconda e poi di non aver sanzionato la “foglia morta” con cui Mario Corso la convertì in gol; subito dopo invece non ravvisò irregolarità nell’intervento con cui Joaquim Peirò soffiò la palla al portiere Mark Lawrence per depositarla comodamente in rete.

Con appena dieci minuti sul cronometro, l’Inter aveva cancellato lo svantaggio accumulato in Inghilterra e rovesciato a proprio favore l’inerzia del doppio confronto. Ma il meglio doveva ancora venire e sarebbe stato Giacinto Facchetti a suggellare il trionfo chiudendo magistralmente una classica azione di contropiede: Armando Picchi servì Luisito Suarez che prontamente innescò Mazzola, il quale fece filtrare soavemente la palla verso l’area di rigore; qui, in perfetta posizione di centravanti e dopo aver coperto con ampie falcate almeno sessanta metri di campo, l’arrembante Facchetti esplose un destro ciclonico, che sibilò sotto il corpo disteso di Lawrence per infilarsi in porta con potenza squassante.

Il gol contro il Liverpool

Accadde tutto in soli sette secondi, lunghi abbastanza per guadagnare alla squadra di Angelo Moratti il diritto a giocarsi la coppa fra le mura amiche dello stadio San Siro. Contro il Benfica, l’Inter vinse il secondo trofeo consecutivo grazie all’unica rete di Jair. In quello stesso 1965, Facchetti sfiorò l’impresa di divenire il primo difensore a conquistare il Pallone d’Oro, cedendo per pochi punti al flessuoso e potente Eusébio: fu il solo riconoscimento individuale per il pioniere che aveva inaugurato la tradizione dei terzini d’attacco.

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