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Rosie Ruiz rubò la maratona di Boston, ma non la fece franca

L'edizione del 1980 della corsa americana è passata alla storia per uno dei più clamorosi tentativi di frode

Tre anni fa, nella corsa alla Casa Bianca contro Barack Obama, Mitt Romney, il candidato del Partito repubblicano, scelse come vicepresidente Paul Ryan. All’epoca, Ryan era un giovane deputato del Wisconsin, noto specialmente per le sue idee ultra-conservatrici sull’aborto e sui matrimoni fra omosessuali, ma venne impallinato dai media americani per una bugia di natura sportiva. A un intervistatore radiofonico, disse di essere un amante della maratona e di avere un personale di circa 2 ore e 50 minuti, un tempo davvero ragguardevole per un dilettante.

Le frottole, si sa, hanno le gambe corte, soprattutto ai tempi di internet, e il sito specializzato Runnersworld scoprì in effetti che Ryan aveva una volta corso una maratona a Duluth, ma in un tempo di poco superiore alle quattro ore. Il noto economista Paul Krugman scrisse un articolo sul New York Times per smontare le promesse elettorali di Ryan, definendolo il Rosie Ruiz dei repubblicani. La notizia rimbalzò sui quotidiani italiani, ma quasi nessuno colse il significato dell’accostamento con l’ignota Ruiz, la donna che non aveva mai corso una maratona ma permaneva nell’immaginario americano come una delle più famose maratonete di sempre.

Nell'aprile del 1980, Rosie sbalordì il mondo varcando per prima il traguardo della prestigiosa maratona di Boston nel tempo record di 2:31:56, barcollando negli ultimi metri e finendo per essere sorretta oltre la linea fatale da una coppia di poliziotti, in un’immagine che ricordò a tutti la sfortunata prova di Dorando Petri alle Olimpiadi di Londra del 1908. Fotografi e giornalisti, curiosi e volontari le si fecero intorno per felicitarsi, venne intervistata e rispose fra uno starnuto e l’altro le solite banalità degli sportivi di fronte al microfono. In pochi minuti concitati, fu condotta al cospetto di Will Cloney, il direttore della corsa, che le cinse la testa con la corona di alloro, decretandone il trionfo e la gloria. Fino a otto giorni dopo, quando fu invece ricoperta di ignominia per aver barato, avendo percorso nemmeno due chilometri di tracciato.

Rosie Ruiz era nata a Cuba nel 1953 e da bambina era arrivata in Florida con la madre. A vent’anni, in seguito a ricorrenti svenimenti e mal di testa, le era stato diagnosticato un tumore alla testa, che fu rimosso con una delicata operazione. Cinque anni dopo, una disco sintetico le fu applicato al cranio a completamento dell’intervento chirurgico. Come avrebbe fatto Lance Armstrong dopo di lei, nella seconda analogia con il ciclista texano, sopravvisse al tumore e decise di provare a se stessa il pieno recupero dell’efficienza fisica iscrivendosi alla maratona di New York del 1979. Presentò la domanda oltre i termini previsti dal regolamento, ma ottenne una speciale dispensa dopo che ebbe dichiarato di essere in lotta con un male incurabile. Nel modulo d’iscrizione stimò che avrebbe coperto i 42,195 chilometri del percorso in 4 ore e 10 minuti. Invece, tagliò il traguardo come undicesima assoluta con il tempo di 2:56:29, il che le valse la qualificazione per la gara di Boston con il cinquantesimo tempo assoluto fra le donne – il suo datore di lavoro, anch’egli appassionato podista, si dimostrò così entusiasta del suo risultato da pagarle il viaggio per il Massachusetts dell’aprile successivo.

L’edizione del 1980 della maratona di Boston aveva due particolari motivi di interesse. Fra gli uomini, l’americano Bill Rodgers, che aveva rappresentato il proprio paese alle Olimpiadi di Montreal del 1976, era alla ricerca del suo quarto successo. Fra le donne, l’assenza della primatista mondiale Grete Waitz apriva il pronostico a diverse pretendenti, fra le quali spiccava la canadese Jacqueline Gareau. Il 21 aprile 1980, in una giornata straordinariamente calda e umida, le cose si misero presto come atteso. Rodgers corse da subito nel gruppo dei battistrada e impose una cadenza irresistibile, involandosi verso il successo. Gareau emerse con grande sforzo dalla nutrita pattuglia delle migliori e affrontò con margine rassicurante l’ultimo lungo rettilineo prima della fine. Qui giunta, colse distintamente l’incitamento di alcuni spettatori, che la invitavano a resistere per conservare il secondo posto. Quando piombò sul traguardo il boato non fu quello riservato di solito a chi vince. Alzò lo sguardo verso il podio, scorse Rodgers e una donna che già indossava la corona della vittoria: la sconosciuta Rosie Ruiz, con i capelli asciutti e il pettorale n. 50 sulla maglietta gialla appena striata di superficiali macchie di sudore, era apparsa inattesa nei mirini delle telecamere fisse, il nome sovraimpresso sui teleschermi e aveva migliorato il suo tempo di New York di qualcosa come 25 minuti! Alla stampa meravigliata disse di essersi svegliata la mattina con una grande energia addosso e perciò non era troppo affaticata. Se non l’aveva notata nessuno durante la corsa, si difese, era perché l’avevano scambiata per un maschio, a causa del suo aspetto e dei capelli corti.

Rosie Ruiz e Bill Rodgers dopo la premiazione

Ma non aveva il volto scavato dalla fatica, le gambe affusolate dagli estenuanti allenamenti e l’addome piatto delle campionesse del fondo. Rodgers fu il primo ad accorgersi che qualcosa non quadrava. Durante la conferenza stampa, rivolse alcune parole a Ruiz e comprese che non riusciva a ricordare i luoghi dei rifornimenti, né aveva disseminato il tracciato di punti di riferimento personali come fanno i migliori maratoneti per aiutarsi a scandire l’andatura.

I dubbi si moltiplicarono e un’inchiesta fu aperta. Uno studente di Harvard, che aspettava i corridori sulla dirittura conclusiva, telefonò al Boston Globe per riferire che aveva visto quella donna entrare nel percorso a poche centinaia di metri dalla fine. L’organizzazione visionò migliaia di fotografie e passò al setaccio le immagini registrate ai rifornimenti: non vi era traccia di Rosie da nessuna parte e venne squalificata. Si scoprì che anche la prestazione di New York era un falso, poiché aveva viaggiato in metropolitana per oltre la metà del percorso, beffando anche in quel caso i controlli degli organizzatori – fu allora recuperata Jacqueline Gareau, che venne proclamata vincitrice della maratona dopo una cerimonia ufficiale nella quale le fu chiesto di tagliare un traguardo simbolico come risarcimento dell’errore subito.

Jacqueline Gareau alla maratona di Boston

La vita di Rosie parve andare in frantumi. Nel 1982, fu condannata a cinque anni di libertà vigilata per aver sottratto 60.000 dollari alla compagnia immobiliare presso cui lavorava e dove aveva destato i sospetti dei colleghi a causa di uno stile di vita eccessivamente dispendioso. L’anno seguente, fu fermata all’aeroporto di Miami da poliziotti sotto copertura per spaccio di cocaina e si beccò altri tre anni di libertà vigilata.

Rosie Ruiz non ha più partecipato a una maratona dal giorno della sua “vittoria”, ma, a differenza di Lance Armstrong, l’altro grande truffatore di fama mondiale, aspetta ancora di confessare a se stessa e agli altri di non aver mai corso nemmeno la gara di 35 anni fa.

Paolo Bruschi

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