In una società dove tutti i riferimenti stanno per saltare, dove le sicurezze del passato non esistono più e sul futuro non c’è certezza, si rischia di affogare senza accorgersene. Proprio come i protagonisti di questa commedia che, anche mentre dal soffitto cadono gocce di pioggia che alla fine diventeranno uno tzunami di grande impatto visivo, continuano a muoversi sulla scena come se nulla fosse. Non si chiedono perché, non cercano delle soluzioni stabili, ma solo palliativi momentanei. Da qui la necessità di riflettere. Abbiamo perso la capacità di rimboccarci le maniche? Di correre ai ripari? Abbiamo forse perso anche il più primitivo degli istinti di sopravvivenza? Forse. Ricca di accezioni negative anche la simbologia del ballo. Si balla su ciò che non funziona, sulle macerie, invece di provare a ricostruire. E per finire le nudità in scena a simbolo di un imperante degrado anche per quanto riguarda i valori. Purtroppo devo ammettere che ho trovato quest’ultimo escamotage poco potente anzi, comico se pur inutile e scarsamente significativo ai fini della narrazione. Insomma ci troviamo di fronte a un racconto grottesco, cinico, spietato e a quanto pare ricco di simbolismi incastonati in una storia corale, che, con amara ironia, mette insieme le vicende di personaggi le cui vite entrano in contatto solo grazie a una scuola di danza. Facciamo la conoscenza di un insegnante di salsa e di tre sue allieve con rispettive famiglie: una ragazza immatura con una madre iperprotettiva che ha ritrovato un po’ di serenità grazie al giovane amante, una ricca e superficiale signora dell’alta società e il marito industriale, un’audace badante albanese. Le vicende dei personaggi si intrecciano. Sfondo la crisi economica e la scarsa volitività della maggior parte dei protagonisti. L’industriale, infatti, è sull’orlo del fallimento ma si respira chiaramente la sua inadeguatezza. La ragazza, iperprotetta dalla madre, invece, manifesta una perenne e fastidiosa insoddisfazione che la rende incapace di reagine alla vita se non pretendendo che al posto suo lo faccia la genitrice. L’unico che in tutto questo guazzabuglio sembra rimanere fedele ai propri obiettivi e cogliere da ogni evento, anche se negativo, del buono, è il personaggio della badante. Giunta in Italia in cerca di fortuna, non la aspetta con le mani in mano, anzi. È una donna che si fa da sé. Un po’ come gli italiani di una volta, che in questa commedia sembrano essersi estinti.
La storia si sviluppa quando le tre aspiranti danzatrici di salsa diventano amiche. La ricca signora, ignara dei problemi dell’azienda di famiglia, impone al marito di assumere la ragazza disoccupata. Il fortuito incontro della madre con l’imprenditore genererà quello che sarà il prologo della vicenda. La donna infatti, venuta a conoscenza delle reali vicissitudini in cui verte l’azienda, si spoglia di tutto quel che possiede, emotivamente ed economicamente, in favore della figlia, per assicurarle il lavoro tanto anelato e poterla vedere finalmente felice. Ma il suo sforzo purtroppo non la ripagherà positivamente. La sua decisione di impiegare tutto quel che ha per sostenere l’industriale, le farà perdere non solo i risparmi ma anche la casa, la sicurezza, la figlia e l’amore. E mentre tutto va a rotoli, l’unica che, come preannunciavo, coglie del positivo anche nelle situazioni più aberranti, sarà la sveglia e operosa badante…
Bravissimi tutti gli attori. Ottima la regia facilitata da una trama iperrealista che si sviluppa attraverso gag a incastro. Minimal ma funzionale la scenografia. Da vedere.