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Bendir Hadyia, il ‘migrante’ autista del Polisario che sogna il Sahara Occidentale

Bendir Hadiya (foto Camilla Caparrini)

Una delle cose belle dell’approdare in nuove culture e nuovi popoli è conoscere persone ed esperienze davvero fuori dal comune.

La storia di Bendir Hadyia è una di queste. Bendir è oggi autista per il Polisario, l’organizzazione armata del popolo Saharawi e, durante la permanenza nei campi profughi nel deserto algerino, è stata la nostra guida.

La famiglia di Bendir era saharawi, emigrata in Mauritania. “A 16 anni, quando la Mauritania era in guerra con i Saharawi decisi di fuggire per arruolarmi nel Polisario. Volevo difendere il popolo che sentivo mio, nonostante fossi cresciuto da migrante”.

“La mia famiglia non voleva che entrassi nel Polisario, dicevano che era come se stessi andando a morire. Io però avevo già preso la mia decisione e scappai da solo in Senegal”.

Da lì il viaggio di Bendir per arrivare nel Sahara Occidentale si fa rocambolesco: “Attraversai il  Senegal e in Gambia, passando anche per la Guinea Bissau, per non entrare in Marocco”.

E lì l’incontro con alcuni rappresentanti del Polisario: “Mi ritrovai insieme ad altri ragazzi che volevano prendere parte alla guerra che i saharawi stavano combattendo con il Marocco (che si è svolta dal 1975 al 1991, ndr) ma ci dissero che eravamo troppo giovani per arruolarci. Alla fine ci portarono con loro”.
Ma il desiderio di combattere di Bendir non si è realizzato: “Visto che ero l’unico che sapeva leggere e scrivere mi misero a fare il maestro, poi all’accademia in Algeria per studiare aviazione, ma qui non c’erano aerei”.

Alla fine Bendir arrivò a pochi metri dal fronte e svolse la funzione di tecnico, riparatore dei mezzi dei militari del Polisario.

“Io mi sento un militare. Se oggi scoppiasse la guerra, che tutti aspettiamo per recuperare le nostre terre, io partirei, anche se non sono più ‘troppo giovane’, anzi”.

Bendir è uno di quelli che crede profondamente nella causa saharawi e che non si spaventa di fronte all’idea di un nuovo conflitto armato. “Così non possiamo andare avanti, io sono saharawi e voglio difendere il mio popolo”.

Bendir ironizza: “Nel 1975 eravamo deboli, combattevamo solo con cammelli e poco altro e siamo riusciti a tenere testa al ‘’Grande Marocco’, oggi possiamo vincere e riprenderci la nostra terra”.
La maggior parte dei Saharawi hanno lasciato qualche familiare in quelle che loro chiamano ‘Terre occupate’, ma Bendir no. “Non ho persone amate al di là del muro (la costruzione di 2700 km eretta dai marocchini e che circonda in confini del Sahara Occidentale, ndr), ma essendo saharawi è come se fossero tutte famiglie mie”.

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