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Giustizia, amicizia e omertà. Il testimone le porta in scena per non dimenticare.

Il testimone - Storti e Coniglio

Eccezionale. Non ci sono altre parole per definire lo spettacolo Il Testimone, andato in scena al teatro Puccini di Firenze il 19 febbraio.
Un esempio riuscitissimo di teatro civile che ricorda una vicenda della nostra recente storia: il barbaro omicidio del giudice Giacomo Ciaccio Montalto, e la lotta coraggiosa del magistrato Mario Almerighi, suo grande amico, affinché venisse fatta giustizia. Una ricostruzione puntuale e appassionata, un racconto coraggioso, scritto a quattro mani da Fabrizio Coniglio e dallo stesso Mario Almerighi, per non dimenticare. Un occhio strizzato ai giovani. Incolpevoli di non aver memoria. Responsabilità di chi di memoria ne ha, invece, tramandarla. In modo corretto e onesto.

 
Il sipario è già aperto. Uno dei due protagonisti, Bebo Storti, giunge sul palco salendo dalla Platea; in vari altri momenti gli attori useranno questo escamotage per avvicinarsi al pubblico fisicamente oltre che emotivamente.
Una scenografia semplice. Un timone, qualche sedia, una rete da pesca, e molti fascicoli che penzolano dal soffitto.
Il giudice Giacomo Ciaccio Montalto è impegnato nell’indagare i rapporti fra mafia, narcotrafficanti, politici e magistrati collusi. In scena momenti rubati a una grande amicizia, fedelmente ripercorsi con dialoghi schietti, a tratti addirittura ilari, che ritraggono due amici ironici, diversi nel carattere ma uguali nei sentimenti di giustizia. Vediamo all’opera i due idealmente su una barca, poi in ufficio, al telefono… Vediamo Bebo Storti e Fabrizio Coniglio, che oltre a recitare nello spettacolo ne è anche autore insieme al vero Almerighi, alternarsi in più di un personaggio cruciale in questa scottante vicenda. I due attori da soli sono sufficienti ad impersonare tutta una carrellata di personaggi diversi, risultando comunque sempre credibili.
Ma ripercorriamo in modo sintetico la storia. La mafia è riuscita a infiltrarsi nel Tribunale di Trapani, dove Ciaccio lavora. Molti sono i corrotti. Insospettabili. Ma lui no. E impavido indaga perseguendo incorruttibile i suoi ideali. Così, il 25 gennaio del 1983, visto che non può essere comprato a suon di “arance”, il magistrato, ormai scomodo, viene freddato davanti casa, da solo, inerme, nel più barbaro dei modi possibili. Giacomo infatti non aveva una scorta. Non voleva che dei giovani morissero con lui, per lui. Lucido e consapevole che qualora qualcuno avesse deciso di farlo fuori, lo avrebbe fatto comunque. Con o senza protezione.

Il testimone. Storti - Almerighi - Coniglio

Il biglietto trovato sulla scrivania di Ciaccio, “telefonare a Mario”, induce l’amico a non dimenticare. Le calunnie nei confronti di una persona onesta, tacciata addirittura di immoralità, manipolando l’opinione pubblica, per lui  furono come veder morire due volte l’amico. Il suo omicidio per troppo tempo venne fatto passare infatti per un delitto passionale.
Dopo l’assassinio un altro giudice giusto, Claudio Lo Curto, prende in mano il caso. Caso che ben presto viene però riassegnato senza alcun apparente valido motivo a un altro magistrato, che a distanza di anni si scoprirà essere invece presente sul libro paga di malavitosi.
La strana sottrazione del processo al giudice Lo Curto era legale? Spinto da un viscerale e autentico desiderio di giustizia, Mario chiede che il processo venga riassegnato al tribunale di competenza e che vengano presi provvedimenti nei confronti di coloro i quali hanno abusato del loro potere. La risposta del Ministro alla richiesta di giustizia di Almerighi giunge lapidaria. Pur volendolo aiutare, infatti, non può farlo. L’onorevole Giulio Andreotti in prima persona si è raccomandato che non lo faccia. Risultato: indagati scarcerati e reati prescritti. Ma Almerighi non si dà per vinto. Passano anni, ma quando Andreotti è messo sotto processo per concorso esterno in associazione mafiosa, finalmente arriva il suo momento: può raccontare la sua verità, mentre altri personaggi chiave della storia nel frattempo sono morti tragicamente o perseguono ancora la strada dell’omertà.
Nel 1999, dopo la sentenza di assoluzione nel processo per mafia, l’ex senatore a vita, durante una diretta TV, inveisce contro Amerighi diffamandolo. Ed è così che si arriverà al celebre processo per querela in cui Andreotti stavolta non sarà salvato neppure dall’immunità parlamentare.
Una piccolissima vittoria. A cui pochi hanno dato voce. Ma significativa. Con l’esiguo risarcimento ricevuto non si può certo ridare la vita ad un amico. Solo acquistare una piccola barchetta, in sua memoria.
Presente in platea il vero Almerighi, coautore, ha raggiunto commosso il palco in un tripudio di applausi.
Presenti anche esponenti dell’associazione ‘Libera’ per una chiusura che incoraggia a non dimenticare e soprattutto ad aiutare i giovani a conoscere la storia del nostro paese. Perché certi eventi non si ripresentino mai più. Perché la nostra Costituzione, durante lo spettacolo scaraventata idealmente giù dal palco, venga difesa insieme alla giustizia e all’onestà.
Un’ottima prova d’attore da parte dei due grandi professionisti in scena. Azzeccatissima anche la scelta della canzone Come è profondo il mare di Lucio Dalla come motivo conduttore dello spettacolo. Le ultime strofe sono emblematiche e più che mai attuali nonostante risalgano a quasi quarant’anni fa.
Un pezzo di storia contemporanea che sarebbe un delitto non vedere.

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