29 gennaio, che fare? Al teatro Puccini di Firenze c’è Nada, famosa interprete di successi intramontabili come “Ma che freddo fa” e “Amore disperato”. Premetto, nei limiti del possibile cerco di non leggere niente prima di uno spettacolo, per fruirne con la mente libera da pregiudizi. Il titolo, con il neologismo coniato per l’occasione, Scompagine, non ha suscitato aspettative in me, anche se, onestamente, mi sarei aspettata qualcosa di musicale. Niente di più sbagliato. Così mi sono lasciata stupire. Per poco meno di novanta minuti ho assistito a uno spettacolo angosciante, una trama in cui si entra pian pianino; tuttavia non sono rimasta delusa. No. Nada è proprio una grande artista. Brava nella scrittura e eccezionale nell’interpretazione. Ha costruito infatti un personaggio che assomiglia per certi versi ad alcuni indimenticabili personaggi di Samuel Beckett.
Sconvolgente nel catalizzare l’attenzione, l’artista ha retto, da sola, un infinito monologo su un palco nudo; unico ausilio una sedia a rotelle di un bianco accecante. Un ambiente spoglio in cui la tristezza rimbomba e fornisce già un senso di inquietudine. Un vuoto così presente che sembra un personaggio a sé stante. Nada entra in perfetta sintonia con l’ambiente che la circonda, in un’empatia perfetta con il suo personaggio e con il pubblico in sala, trasmettendo a pieno l’angoscia, la solitudine, la tristezza, la confusione di una signora anziana, tutta imbellettata, che ha perso la ragione. Che parla da sola convinta di parlare con un alterego, con cui si arrabbia, certo, ma a cui ormai si è anche affezionata, perché almeno lui l’ascolta, c’è sempre stato, e sa tutto di lei, non la ha abbandonata… Così, in quello che sembra essere un macabro ospedale, la signora racconta sprazzi della sua storia, di violenze subite. Un racconto senza logica. Non si sa quanto frutto della memoria e quanto frutto d’immaginazione. La signora inganna il tempo. Nell’attesa. L’attesa che qualcuno la separi dal su io nascosto, dal suo interlocutore muto, invisibile. In modo definitivo. Chirurgico. Emblematico l’interrogativo finale che Nada si pone e ci pone: meglio essere sani e sentirsi malati, o essere malati e tuttavia sentirsi bene, sani? Chissà. Una domanda che spinge a guardarsi dentro e a riflettere. Uno spettacolo da vedere. Ma sconsigliato nei giorni di pioggia.