Il colpo di kung fu di Éric Cantona a Matthew Simmons
Negli anni ’80 del secolo scorso il calcio inglese pareva avvitato in un declino irreversibile. Non erano i risultati, benché la nazionale dei Tre Leoni, dopo esser stata gentilmente omaggiata del Mondiale casalingo del 1966, si fosse ben guardata anche solo dall’avvicinare la più remota possibilità di concorrere seriamente per un qualche alloro internazionale. A livello di club, infatti, le squadre di Sua Maestà spadroneggiavano in lungo e in largo. Dopo il dominio di Ajax e Bayern Monaco, la Coppa dei Campioni era divenuta un feudo albionico e sovente valicavano la Manica anche la Coppa Uefa e la Coppa delle Coppe. No, la crisi britannica era un problema di teppismo.
Nel maggio del 1982, un tifoso rimase ucciso negli scontri che scoppiarono alla partita fra Arsenal e West Ham. Nel 1985, l’11 maggio, un quattordicenne perse la vita in un gigantesco tafferuglio che coinvolse forse un migliaio di persone, fra tifosi e polizia, durante la partita fra Birmingham e Leeds United. Lo stesso giorno, un incendio scoppiato sulle tribune in legno dello stadio di Bradford, e inizialmente trascurato, costò la vita a 56 spettatori. Il 29, allo stadio Heysel di Bruxelles, prima della finale di Coppa dei Campioni fra Juventus e Liverpool, i tifosi inglesi causarono la morte di 39 sostenitori juventini, spingendo la Federazione europea a mettere al bando le squadre inglesi per cinque anni. Infine, il 15 aprile 1989, una gestione dilettantesca degli afflussi allo stadio da parte delle forze dell’ordine innescò una calca immane a Hillsborough e, come conseguenza, la morte di ben 96 persone – la tragedia determinò la rimozione di tutte le barriere che separavano gli spalti dal campo e che erano state in larga misura edificate dopo il primo apparire della violenza negli stadi negli anni ‘70.
Secondo il governo Thatcher, il football era ormai diventato un problema di legge e ordine, mentre la prospettiva di intere legioni di hooligan che si recavano all’estero per le partite della nazionale atterriva le cancellerie continentali, come avvenne per gli Europei tedeschi del 1988 e la Coppa del mondo giocata in Italia nel 1990.
Nel decennio successivo, le cose cambiarono in meglio, sostanzialmente attraverso la semplice decisione di fare degli stadi luoghi dove ognuno aveva assicurato il posto a sedere. Le società vennero ritenute responsabili della gestione dei loro impianti, il costo dei biglietti salì e un nuovo tipo di spettatore fu attirato in arene più comode e confortevoli. Gli spettatori non furono più considerati un branco di animali e i tifosi presero a comportarsi meglio. Infine, accadde un episodio che dimostrò la corresponsabilità di giocatori e supporter nell’alimentare la violenza che circonda il calcio.
Il 25 gennaio 1995, mentre si giocava Crystal Palace-Manchester United, Éric Cantona, la talentuosa ma umorale e indisciplinata stella francese dei Red Devils, fu espulso dall’arbitro per uno scontro di gioco – era la quinta volta che accadeva durante la sua permanenza al Manchester. Mentre si avviava verso lo spogliatoio, fra le grida di scherno della folla, Cantona fu raggiunto dalle pesanti offese che gli urlava forsennatamente un tifoso che aveva sceso undici file di gradini per inveire contro di lui. Il giocatore, con grande stupore dei presenti, traversò un confine fisico e simbolico: saltò i cartelloni pubblicitari e aggredì con un calcio volante il ventenne Matthew Simmons, l’esagitato spettatore.
Non era la prima volta che il francese erompeva in intemperanze ed eccessi caratteriali. Da giovane, giocando per Montpellier, Bordeaux, Marsiglia e Nîmes, si era guadagnato meritatamente la fama di bad boy, per i frequenti insulti agli allenatori, per le proteste plateali dopo sostituzioni subite, per risse con avversari e compagni di squadra. Nel 1991, aveva subito una squalifica di tre mesi dopo aver cercato di colpire un arbitro con una pallonata. Pensò di ritirarsi e fu convinto da Michel Platini, allora ct della nazionale di Francia, a ritornare sui suoi passi. Andò allora in Inghilterra, acquistato dal Leeds United, che vinse subito il campionato dopo 19 anni di astinenza. L’anno seguente fu voluto da Alex Ferguson al Manchester United e lo condusse al successo in Premier League, a 26 anni dall’ultimo titolo: con la sua tipica sfacciataggine aveva indossato la mitica maglia n. 7, che era stata di George Best e di Bryan Robson, infondendo fiducia alla squadra, spingendola fuori dalla tutela del glorioso ma ingombrante passato, aiutando il talento di Ryan Giggs e David Beckam a fiorire.
E tuttavia, e opportunamente, “oltraggioso” e “vergognoso” furono le parole più usate per descrivere l’aggressione a Simmons, che fu rappresentato come una vittima. Cantona fu arrestato e condannato a due settimane di carcere, poi convertite in 120 ore di servizio sociale. Di fronte alla pressione dei mass media, accettò controvoglia di presenziare a una conferenza stampa solo per pronunciare le sibilline parole: «Quando i gabbiani seguono il peschereccio è perché pensano che delle sardine saranno lanciate in mare».
Il Manchester bandì il proprio giocatore per quattro mesi e lo multò di 20.000 sterline, come richiesto dalla Federazione inglese, che pretese di ascoltare le scuse di Cantona durante una specifica audizione. Il solitamente ribelle e recalcitrante francese sembrò accondiscendere e l’esercizio di contrizione iniziò come auspicato. Disse che si scusava con la Federazione, con il Manchester United, con il suo allenatore e i propri compagni di squadra, infine concluse: «E vorrei soprattutto scusarmi con la prostituta con cui sono andato a letto ieri sera!». La sua squalifica fu raddoppiata e la multa accresciuta di ulteriori 10.000 sterline.
Ben più sincere sono sembrate le scuse che Philippe Mexès ha pronunciato dopo aver tentato di strangolare Stefano Mauri, durante Lazio-Milan di ieri sera. Eppure quanta minore eleganza e bellezza nel volto paonazzo e trasfigurato dall’ira del difensore milanista, rispetto all’aereo e creativo colpo di kung fu di Cantona? Un errore di sicuro, un’inescusabile perdita di controllo e un implicito incitamento a farsi giustizia sommariamente, ma anche una forma di sanzione contro un comportamento incendiario e pieno di odio, che ancora oggi è colpevolmente tollerato solo perché avviene sugli spalti di uno stadio, dove paiono sospese le regole della convivenza civile.
Matthew Simmons ebbe il suo quarto d’ora di celebrità, di cui avrebbe volentieri fatto a meno. Fu scoperto che aveva partecipato a delle marce del partito neonazista British National Party e che era stato condannato per tentata rapina e rissa solo tre anni prima. Al processo, fu ritenuto colpevole di comportamento minaccioso e abuso verbale, perse a sua volta il controllo e cercò di assalire la giuria con un calcio identico a quello che aveva ricevuto da Cantona. Passò 24 ore in cella e dovette cercarsi un altro lavoro dopo esser stato licenziato.
Poi, le strade dei due uomini si divisero. Cantona scontò la pena e vinse altre due volte il campionato. I tifosi continuarono a adorarlo e lo sfrontato francese li ricompensò un’ultima volta il 21 dicembre 1996, dopo aver segnato il 4-0 nella vittoria contro il Sunderland. Una rete di suprema fattura, ma eclissata da quello che venne subito dopo: Cantona gonfiò il petto, alzò la testa e con la fascia di capitano stretta al braccio passò lo sguardo sulle tribune in un’affermazione di potere e carismatico ascendente. In un referendum indetto da Inside United, la pubblicazione ufficiale della squadra, “King Eric” fu votato il miglior giocatore di sempre dai tifosi dello United, che mandarono a ruba una maglietta con su scritto “Il 1966 è stato un grande anno per il calcio inglese: nacque Éric Cantona”.
Nel 2011, Matthew Simmons assalì con diversi pugni un certo Stuart Cooper, a margine di una partita di calcio fra squadre giovanili. Da tempo, covava verso di lui un sordo rancore, sospettandolo di aver estromesso l’allora figlio di otto anni dalla squadra di bambini che allenava, dopo aver scoperto che il padre era l’uomo coinvolto nell’alterco con Cantona. Il giudice lo condannò a sei mesi di carcere, poi sospesi, e a 150 ore di lavori socialmente utili. Il francese, dal canto suo, è diventato una stella del cinema, ha ispirato il bel film di Ken Loach “Il mio amico Éric” e ha girato il documentario “I ribelli del calcio”. Non ha però perso il suo cattivo carattere, come dovette constatare la polizia che lo ha arrestato lo scorso marzo per sedare una rissa in un quartiere bene di Londra.
Éric Cantona e Matthew Simmons, a venti anni di distanza, si devono ancora le reciproche scuse.